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Wired: “Addio al vecchio web, ora comanda il modello iPad”

08/09/2010

Continua il dibattito sulla morte del web. _Federico Rampini_ intervista _Chris Anderson,_ direttore di _Wired_ che afferma “si è chiuso un ciclo iniziato 18 anni fa”. Internet è morto, è iniziata l'era dell'iPad.

di Federico Rampini
«Ti svegli e senza alzarti dal letto controlli le email sul tuo iPad. Stai usando un’app, un’applicazione. Durante la prima colazione dai un’occhiata alla tua pagina su Facebook, su Twitter, e alle ultime notizie sul New York Times. Sono tutte app. Idem quando in auto ascolti musica dal tuo iPod o dall’iPhone, poi in ufficio usi Skype per telefonare a un amico dall’altra parte del mondo. Alla fine avrai la speso la giornata usando Internet ma non più sulla “rete” aperta, libera. Sei diventato il frequentatore di tanti giardini chiusi». Chris Anderson ha lanciato una provocazione intitolando la copertina di Wired: “Il web è morto, lunga vita a Internet”. Mi riceve a San Francisco, South of Market, nella sede storica della rivista che fu un simbolo della New Economy (i numeri del 1999 e del 2000 erano grossi come l’elenco del telefono tanta era la pubblicità) ed oggi è rinata a una seconda vita.
«Proprio come Internet – osserva – che sta entrando in una nuova fase rivoluzionaria. Le rivoluzioni industriali hanno dei cicli, e per la rete se n’è chiuso uno».
Il profano fatica a distinguere Internet e la Rete, anche se li usa tutti e due. Il titolo di Wired è sulla morte del web.
«Ancora pochi anni fa tutto sembrava ruotare attorno al browser: accendevi il tuo computer, cliccavi sull’icona di Internet Explorer o Firefox e ti si apriva la possibilità di navigare. Poi sceglievi il motore di ricerca Google e la tua esplorazione continuava, in mare aperto. Lo spostamento in poco tempo è stato drastico ed è trainato dal successo della nuova generazione di telefonini come l’iPhone, poi dei lettori digitali o “tavolette” come l’iPad. I consumatori li preferiscono per la facilità che offrono: è lo schermo che ti viene incontro, offrendoti quello che hai preselezionato in base ai tuoi interessi, non sei più tu che devi affacciarti sullo schermo e andare alla ricerca. Ovviamente le app usano sempre Internet come mezzo di trasporto, ma non ti danno quella libertà di scelta che avevi con il browser. Sono tante reti di proprietà di qualcuno, spesso con pedaggio di ingresso».
Vuol dire che in cambio della comodità stiamo rinunciando alla nostra libertà?
«E’ inevitabile. Io sono una creatura del web, la mia storia qui a San Francisco è legata a questo strumento aperto. Ma è il consumatore a decidere, e il consumatore sta dicendo che vuole un servizio veloce, facile, da attivare con la punta dei polpastrelli. Entro cinque anni il numero di utenti che avranno accesso a Internet dai loro telefonini avrà superato il numero di chi usa il computer. Il verdetto è chiaro. Per quanto possiamo amare la libertà di scelta, vogliamo avere la vita facile, vogliamo dei servizi efficienti e affidabili a portata di mano. Naturalmente questo non significa che il browser scomparirà. Così come le email non hanno fatto scomparire le cartoline postali…».
Il passaggio dal browser alle app comporta delle trasformazioni profonde nel business online, nel modello economico, e nei rapporti di forza tra i giganti del settore. Si accelera la concentrazione: nel 2001 i primi dieci siti attiravano il 31% degli utenti, oggi ne catturano il 75%. Il modello Facebook, che ti preseleziona l’esperienza di navigazione in base ai tuoi interessi, minaccia la supremazia di Google.
«E’ il ciclo del capitalismo, è la storia delle rivoluzioni industriali che si ripete. Nasce una nuova tecnologia, si diffonde, fioriscono cento fiori, poi qualcuno trova il modo di impadronirsene, di recintare il giardino. Internet oggi si sta avviando ad essere una serie di giardini recintati. Il web aperto resterà ma come un’eccezione, sempre meno usata. Ancora una volta: è l’utente a imboccare questa direzione. Internet compie 18 anni dalla nascita e il sapore della novità ormai si è spento. La nostra sete di scoperta si attenua, per quanto intellettualmente noi della West Coast apprezziamo l’apertura e la libertà, alla fine vogliamo anche avere la vita facile. Cioè le scelte precotte, le app che attiviamo sfiorando con le dita lo schermo del telefonino o dell’iPad. O la nostra pagina su Facebook, che crediamo di avere disegnato a nostra immagine e somiglianza, su misura per i nostri gusti e i nostri amici».
Le app sul telefonino sono facili da usare, ma non finiremo per consumare informazione sempre più spezzettata, in formati ridotti che devono entrare nello schermo di un cellulare?
«La frammentazione era un rischio maggiore nell’era precedente, quella del browser. Usando un motore di ricerca come Google finivamo per scorrere tanti siti a volo d’uccello, raccoglievamo qui e là tanti bocconcini di contenuto gratuito, in modo atomizzato. Quando uso l’iPad, al contrario, io mi soffermo a lungo nel contenuto di un giornale. Le app ricostruiscono un contesto, il filo di un discorso. Mentre sul web sorvolavamo velocemente su tutto, ora ci soffermiamo più a lungo nell’assorbire i nostri contenuti preferiti sull’iPhone. Siamo in una transizione dall’era del multi-tasking, in cui facevamo troppe cose alla volta (telefonavamo guardando lo schermo del computer) ad un mono-tasking. La nuova generazione di tavolette, i lettori digitali, ci spingono alla concentrazione. O per dirla con una battuta: passiamo meno tempo a cercare, e più tempo a trovare».
La nuova era ha conseguenze profonde anche per chi produce contenuti: informazione, cultura, giornali, libri. Abbiamo conosciuto le regole dell’impero di Google, che pretendeva la gratuità dei contenuti e poi si arricchiva vendendo spazi pubblicitari un po’ dappertutto. Ora il modello nuovo è quello di Apple, dove i contenuti si pagano.
«E si scopre che i consumatori preferiscono pagare 99 centesimi per scaricare una canzone da iTunes, anche se perdendo un po’ di tempo e di fatica potrebbero trovarla altrove gratis. Sì, la “morte del web” libero e caotico significa un cambiamento di paradigma per il mondo dei media. Prima il contenuto online era gratuito e attirava ricavi pubblicitari grazie alla grande affluenza di visitatori. Ora siamo in piena transizione verso il freemium che è la combinazione di gratuito e “premium”: offriamo degli assaggi gratuiti, per attirare il consumatore verso un contenuto molto più interessante e gratificante, a pagamento. E’ il modello iPad, una piattaforma ricca, di alta qualità, dove il contenuto gratuito è limitato. Nel momento in cui l’accesso a Internet si è trasferito dalla tua scrivania alla tua tasca, la natura del mezzo è cambiata. Il caos delirante è stata la fase adolescenziale del web».
Tratto da La Repubblica
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