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Nimby, dibattiti pubblici e nuove sfide

23/03/2010

Continua il dibattito sul tema Nimby. Dopo il colloquio con Alessandro Beulcke, Sergio Vazzoler intervista _Luigi Bobbio_, esperto in analisi delle politiche pubbliche e in processi decisionali inclusivi. Un tema scottante e attuale quello del coinvolgimento degli stakeholder nei processi decisionali pubblici che non può essere ignorato anche in vista delle imminenti elezioni regionali.

di Sergio Vazzoler
È passato ormai un anno dallo svolgimento della prima esperienza italiana di un confronto pubblico preventivo su una grande opera infrastrutturale (sul modello del débat public già sperimentato in Francia). Mi riferisco al percorso avvenuto a Genova per le ipotesi di tracciato della Gronda autostradale di Ponente. Un percorso che ha visto protagonista il lavoro di Luigi Bobbio, esperto in analisi delle politiche pubbliche e in processi decisionali inclusivi. Il Professor Bobbio ha ricoperto il ruolo di Presidente della Commissione indipendente, nominata dal Comune di Genova per gestire il dibattito pubblico.
Un’esperienza-pilota che vale la pena riprendere e analizzare, cercando di trarne spunti anche per i nuovi temi in agenda sul fronte Nimby e comunicazione, a partire dal rilancio del nucleare made in Italy. Ecco perché ho pensato di sottoporre alcune questioni aperte al Professor Bobbio.
Professore, a un anno di distanza dalla conclusione del dibattito pubblico sulla Gronda, che cosa è “passato” e che cosa, al contrario, è rimasto solo sulla carta?
I risultati sono consistenti. Al termine del dibattito, così com’era stato previsto, la società Autostrade ha dichiarato pubblicamente come intende raccogliere gli argomenti emersi e ha formulato una nuova ipotesi progettuale che prende come base una delle cinque alternative di tracciato che aveva proposto in apertura del dibattito, ma vi introduce notevoli correzioni tenendo conto delle osservazioni e delle proposte formulate dai cittadini. L’impatto sulle case (uno dei problemi più sentiti) è stato ridotto al minimo. Qualche mese dopo, nel febbraio 2010, questa ipotesi progettuale è stata sancita ufficialmente in un protocollo di intesa tra Anas e enti locali. La società Autostrade ha quindi avviato la progettazione preliminare che concluderà entro quest’anno. Il protocollo stabilisce anche l’istituzione, prevista nel corso del dibattito, di un osservatorio locale (cui parteciperanno anche cittadini eletti) che interloquirà con Autostrade sulla progettazione e poi sulla realizzazione dell’opera. Attualmente l’osservatorio è in via di costituzione.
Prima di passare agli scenari, qualche pillola operativa: quali sono i costi e i tempi per organizzare e gestire un dibattito pubblico?
Il dibattito è costato 191.000 euro di cui il 73% a carico di Autostrade per l’Italia e il 37% a carico del Comune di Genova. Si tratta di un’inezia rispetto al costo dell’opera che è dell’ordine di 3-4 miliardi. Mi pare fondamentale che le imprese proponenti si facciano direttamente carico dei costi di un dibattito pubblico sui loro progetti.
Nell’esperienza francese il dibattito dura 4 mesi ed è preceduto da un’attività preparatoria di 6-10 mesi. A Genova i committenti hanno imposto tempi molto più stretti. La fase preparatoria è durata solo un mese e mezzo (e questo ha creato qualche problema). Il dibattito vero e proprio è durato tre mesi, dal 6 febbraio al 30 aprile 2009. L’avere a disposizione una scadenza definita e nota a tutti è molto importante perché obbliga tutti gli attori a esprimere tempestivamente il proprio punto di vista. Il dibattito si è snodato attraverso 14 incontri pubblici il cui calendario è stato comunicato il primo giorno del dibattito. Tutti i soggetti interessanti sapevano quindi dall’inizio come e quando si sarebbe svolto.
Il dibattito produce risultati misurabili?
Be’ produce risultati precisi. Il dibattito termina con una relazione della commissione indipendente che riassume gli argomenti e le proposte emersi nel corso del dibattito (ma non si esprime nel merito): la correttezza della relazione della commissione può essere chiaramente valutata.
A sua volta il soggetto proponente (nel nostro caso Autostrade per l’Italia) dichiara se intende mantenere il progetto o modificarlo. Anche questa presa di posizione è chiara e quindi valutabile. Nel caso specifico, il nuovo progetto presentato da Autostrade per l’Italia è stato considerato da alcuni come una soluzione innovativa e meno invasiva che non sarebbe stata possibile senza il dibattito. Molti degli oppositori della nuova autostrada ritengono invece che si tratti di una riverniciatura che elude un ripensamento strategico sulla gestione della mobilità nell’area metropolitana genovese.
Che cosa succede se durante il dibattito pubblico s’impongono temi precedentemente sottovalutati dalla committenza?
In un dibattito pubblico emergono sempre temi che la committenza aveva sottovalutato o trascurato. Il dibattito serve a proprio a questo. Se non ci sono sorprese vuol dire che il dibattito è addomesticato. Autostrade per l’Italia ha pubblicamente riconosciuto di essere stata costretta ad affrontare aspetti non previsti e lo ha considerato come un fatto estremamente positivo.
Con i dibattiti pubblici non c’è il rischio di dare voce soltanto a chi deve sopportare il costo dell’impatto infrastrutturale (le comunità locali) e penalizzare invece l’interesse diffuso (ad esempio i pendolari che rimangono imbottigliati nel traffico a causa dell’assenza di infrastrutture adeguate)?
Il dibattito si rivolge a tutti. Gli interessi diffusi sono tutelati da numerose istituzioni e organizzazioni. Nel nostro caso sono intervenuti nel dibattito, a sostegno degli interessi degli automobilisti e delle imprese, la Camera di commercio, il sindacati, le associazioni di categoria, l’autorità portuale, ecc. Le loro posizioni hanno avuto una grande risonanza sui media.
E’ evidente che nelle assemblee (che vengono svolte nei quartieri coinvolti) partecipano soprattutto i residenti che sono contrari all’opera. E tuttavia:
1) il dibattito pubblico non è costituito solo dalle assemblee; a Genova abbiamo anche costituito tavoli di lavoro più ristretti dove hanno potuto confrontarsi direttamente i sostenitori e gli oppositori dell’autostrada;
2) è giusto dare il massimo peso alle posizioni delle comunità locali potenzialmente danneggiate dall’infrastruttura allo scopo di compensare la loro posizione minoritaria all’interno della comunità più vasta.
Lo scopo del dibattito pubblico è di far affiorare i conflitti latenti: capire per tempo quali sono i problemi che comunque prima o poi emergeranno.
Un altro nodo critico tutto italiano, in virtù della debolezza della politica e di un deficit di trasparenza, appare essere la credibilità degli esperti nominati dal committente. Come si può convincere l’opinione pubblica dell’effettiva indipendenza degli esperti chiamati a gestire il dibattito pubblico?
La commissione non deve pronunciarsi sul merito del progetto, ma deve assicurare che il dibattito sia svolto correttamente, che le informazioni siano chiare e non reticenti, che tutti gli argomenti siano presi sul serio. Deve in altre parole riconoscere le buone ragioni di tutti i partecipanti. Se lo fa, il riconoscimento della propria indipendenza se lo conquista sul campo. Perché questo si realizzi occorrono alcune condizioni che a Genova erano presenti. Occorre che gli esperti della commissione siano esterni al contesto locale. E occorre che possano disporre di risorse (noi avevamo un robusto staff formato da persone di nostra fiducia e risorse finanziarie per la comunicazione). Abbiamo lavorato in stretto contatto con il Comune di Genova e con Autostrade, ma in molte scelte abbiamo fatto di testa nostra e credo che tutti i partecipanti lo abbiano apprezzato.
La comunicazione a supporto degli incontri quale ruolo gioca? Al di là delle differenze tra singoli casi, esistono strumenti preferibili ed altri sconsigliabili?
I principi fondamentali della comunicazione in un dibattito pubblico sono la trasparenza, la comprensibilità e l’ascolto. La trasparenza è difficile. Tutti gli attori tendono a dare informazioni reticenti. Abbiamo dovuto lottare con i nostri committenti per fargli rivelare aspetti che preferivano tener nascosti o rimandare. Spesso ce l’abbiamo fatta. La trasparenza è anche faticosa perché richiede un lavoro quotidiano di messa in comune delle informazioni. Altrettanto importante è la traduzione delle informazioni tecniche in linguaggio accessibile. Prima di aprire il dibattito abbiamo chiesto a Autostrade per l’Italia di proporre un dossier scritto in linguaggio non tecnico e, poiché il loro documento conteneva alcune gravi omissioni, abbiamo chiesto pubblicamente di fornire integrazioni (che poi sono arrivate nelle prime settimane del dibattito). Nel corso del dibattito abbiamo coinvolto una trentina di esperti (per lo più estranei al contesto genovese). Nei tre mesi di dibattito abbiamo passato alcune ore al giorno a rispondere alle numerose mail dei cittadini: è stata un’attività faticosa, ma importante perché ha consentito di aprire uno spazio di interlocuzione anche con persone che magari non partecipavano alle assemblee. Il sito web (urbancenter.comune.genova.it) ha svolto un ruolo fondamentale. Migliaia di persone hanno trovato cartografie dettagliate, i verbali e i video degli incontri, documenti e commenti, un forum e i “Quaderni degli attori”, ossia gli interventi che singoli cittadini o gruppi hanno consegnato alla commissione durante il dibattito.
Pensa che l’esperienza del dibattito pubblico possa essere applicata soltanto alle infrastrutture locali? E nei casi di questioni che investono tutto il Paese?
Ci sono esperienze di questo tipo in vari paesi. Richiedono un enorme sforzo progettuale, organizzativo e anche finanziario. E hanno anche un difetto. Mentre un dibattito locale riesce a coinvolgere i cittadini qualsiasi (a Genova i teatri in cui si svolgevano le assemblee erano gremiti all’inverosimile), un dibattito nazionale tenderà a coinvolgere prevalentemente gli addetti ai lavori (professionisti, militanti, membri di associazioni). Si può superare questo limite creando arene ad hoc formate da cittadini estratti a sorte che si riuniscono contemporaneamente in diverse città e poi in un incontro conclusivo sul piano nazionale. L’Unione europea ha già fatto qualcosa del genere. Ma è probabile che queste iniziative finiscano per avere poca risonanza nell’opinione pubblica: qualcuno di voi ha mai sentito parlare di European Citizens’ Consultations, Tomorrow’s Europe o di Europolis? Eppure si tratta di iniziative (costosissime) che hanno portato centinaia di cittadini provenienti dai 27 stati membri a discutere a Bruxelles. Insomma io non disprezzerei affatto i dibattiti pubblici locali che tendono ad essere più “ruspanti” e più autentici, ma non escludo affatto che ci si possa muovere anche su una scala più ampia.
Il 2010 si è aperto all’insegna del congelamento del dibattito sul nucleare in attesa dell’esito elettorale. Quali scenari prevede dopo il 29 Marzo? E quale, secondo lei, la questione più urgente da affrontare?
Il problema è che l’opinione pubblica italiana è divisa sull’opportunità del ritorno al nucleare. Qualsiasi proposta di localizzazione di una centrale si scontrerebbe sul piano locale con le obiezioni contro il nucleare. Penso quindi che un dibattito pubblico locale sarebbe dominato dalla contrapposizione “nucleare sì”, “nucleare no”. Un dibattito pubblico nazionale, se ben costruito, potrebbe essere di grandissima utilità. Ma dovrebbero esserci precise garanzie sulla libertà di accesso, sulla trasparenza delle informazioni, sulla possibilità di esplorare soluzioni alternative. Non credo che il governo sia disposto a compiere un simile passo. E non vedo all’orizzonte istituzioni culturali o scientifiche capaci di assumersi questo compito difficile e estremamente oneroso.
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