Ferpi > News > Anche gli spin doctor hanno una coscienza: tre storie, tre morali

Anche gli spin doctor hanno una coscienza: tre storie, tre morali

09/02/2011

Ci sono limiti alla libertà d’azione? Se la domanda viene posta ad uno spin doctor la risposta può variare anche di molto. La rubrica di _Gabriele Cazzulini_ questa settimana è dedicata a tre figure chiave di questa professione: _Ted Sorensen, Tim Bell, Andy Coulson_ alias l’idealista, l’arrivista e l’onesto…

di Gabriele Cazzulini
Missione riuscita? Sì, le storie raccontate finora hanno spalancato la porta, non senza polemiche, su cosa fa uno spin doctor. Però il dubbio ama far perdere la verginità alle certezze. Quindi: uno spin doctor, cosa deve fare? Non solo in senso tecnico-professionale. Ma soprattutto in senso etico. Ecco allora la classica domanda bisbigliata dalla voce della coscienza: ci sono limiti alla libertà d’azione di uno spin doctor?
Il politico lontano dalle elezioni direbbe di sì, ma sotto elezioni, magari a mezza voce, quel sì diventerebbe no – i politici sono medaglia d’oro nella velocità del cambiamento di opinioni. Per il moralista, ovvero un politico sotto mentite spoglie, ci sono sempre limiti, non fosse altro che per il gusto di trasgredirli. Ma come risponderebbe uno spin doctor? E’ qui che inizia la nuova puntata di “Spin Doctors: Uomini & Storie”.
L’idealista, l’arrivista e l’onesto: qualcosa come il buono, il brutto e il cattivo, una tripletta di aggettivi per presentare un insolito trio di celeberrimi spin doctors: Ted Sorensen, Tim Bell, Andy Coulson. Come chi sono? Ok, forse abbinando i nomi dei loro “clienti”, diventerà più facile mettere a fuoco il discorso: John F. Kennedy, Margaret Thatcher, David Cameron. Bene, ora è più chiaro. Però Sorensen, Bell e Coulson non sono stati pionieri nello spindoctoring. Non hanno inventato la relatività o traguardato obiettivi biblici. Lavoravano con grandissimi leader – questo era il loro vantaggio. Perciò potevano permettersi qualche scrupolo, pardon: considerazione di tipo morale. Ecco perché loro tre rappresentano tre situazioni profondamente diverse nel modo in cui uno spin doctor fa i conti con le proprie azioni.
Ted Sorensen era un idealista. Kennedy lo considerava la sua personale “banca del sangue intellettuale”. Era un serbatoio di idee che solo in un secondo tempo diventano slogan ad effetto. Lui, Ted, ci credeva veramente in JFK, nonostante l’ “imbranata” politica interna del presidente, il rischio della terza guerra mondiale con la crisi dei missili, il flop della baia dei porci, il casino con Marylin e altri passi falsi della politica kennediana. Ma per Ted valeva il messaggio più che l’uomo di quel messaggio. Dopo Dallas, Sorensen rischiò la depressione, schiacciato dall’affetto e dalla stima che lo legavano al presidente. Non lavorò più per nessun politico, preferendo la consulenza legale. Nel corso degli anni si rifiutò di rispondere a domande troppo personali su Kennedy e addirittura ammise che alcuni dei più brillanti e memorabili slogan kennediani furono scritti dalla mano dello stesso presidente. Il 25 febbraio 2010 Ted fu insignito della Medaglia degli Umanisti d’America per il suo nobile impegno nel comunicare la politica.
Tim Bell – chi era costui? All’apparenza sembra un Carneade come tanti. In realtà Timothy John Leigh Bell, Barone Bell, era la punta di diamante della storica agenzia Saatchi & Saatchi, che a sua volta era l’avanguardia delle relazioni pubbliche in Europa a partire dagli anni 70. Un libro da tenere sul comodino è quello di Mark Hollingsworth, un giornalista all’inglese col talento del grande romanziere francese, e racconta proprio le avventure di Tim Bell. Tutto incomincia quando nel 1979 Bell si tuffa in politica, senza avere esperienza o competenza. Attraverso consigli sull’abbigliamento, la pettinatura e il rossetto, trasforma Margaret Thatcher nel primo premier femminile nella storia dell’Inghilterra. Da lì in poi Bell diventa l’eminenza grigia di Downing Street su ogni grande questione d’immagine. Ma tramontata l’era della Lady di ferro, Bell non getta la spugna. Gli piace lo spindoctoring, al di là di ogni limite. Infatti lavora alla macchina della propaganda americana per l’invasione dell’Iraq nel 2003 e poi fa consulenza per il suo amico Boris Berezovsky, uno dei più chiacchierati oligarchi russi, emigrato, cioè fuggito, a Londra. C’entra qualcosa Litvinenko? Sì, Alexander Litvinenko, quell’agente del KGB che divenne un feroce dissidente contro Putin denunciandone le atrocità in Cecenia. Litvinenko morì nel 2006 in modo atroce per le radiazioni del Polonio 210. Le sue foto sul letto d’ospedale, in punto di morte, fecero il giro del mondo. E allora? Quelle foto furono un’idea di Bell – che poi lavorò anche per i monarchi sauditi, per la fondazione del generale Pinochet in Cile e per il tiranno della Bielorussia, Alexander Lukashenko. Bell era la macchina perfetta che non si pone nessun altra questione rispetto al raggiungimento del suo obiettivo.
Infine Andy Coulson, quello onesto. Dal 2007 Coulson lavorava per David Cameron quando il giovane leader Tory iniziò la sua fulgente ascesa al potere. Fu come vincere facile, perché lo sfidante laburista, l’ex premier Gordon Brown, odiava talmente Tony Blair, suo eterno rivale e collega, da fare esattamente il contrario di quello che faceva Blair. Tipo: farsi assistere da uno spin doctor. Tony lo faceva? Allora Gordon no. Infatti Brown non volle mai uno spin doctor. Per quanto striminzita e in condivisione con i Libdem, la vittoria dei conservatori sembrava annunciare anche l’apoteosi di Coulson. Poi è arrivato il passato che non passa. Coulson infatti nel 2003, prima di lavorare in politica, dirigeva il News of the World, tabloid britannico in mano a Rupert Murdoch. Nel 2007 scoppiò uno scandalo legato alla pubblicazione di intercettazioni telefoniche di nomi eccellenti, che il giornale ottenne ingaggiando un investigatore privato avvezzo all’infrazione della legge. Per gli inglesi fu una vergogna nazionale – una specie di Watergate in rosa. Per Coulson fu la fine. Ma anche l’inizio della sua carriera come spin doctor di David Cameron.
Nonostante ciò la macchia dello scandalo non si cancellò mai e le rinnovate accuse su quelle intercettazioni hanno messo Coulson in una situazione complicata. Poteva fare lo spin doctor di se stesso, poteva passare al contrattacco, poteva imparare da Berlusconi a duellare coi giudici. Non ha fatto nulla per togliersi dalla melma e tenersi la poltrona. Alla fine dello scorso gennaio Coulson ha rassegnato le dimissioni. Dicesi fair-play.
Quindi? Sorensen, Bell, Coulson: tre grandi spin doctors, tre risposte differenti alla stessa domanda: quali sono i limiti dello spindoctoring? La risposta è cruda: i limiti sono auto-fissati dall’arbitrio di ciascuno. Fare lo spin doctor non è come avvitare bulloni. Significa interagire non solo con le persone ma con le loro opinioni. Lo spin doctor è un demiurgo, un architetto, un creat(t)ore che scrive un copione e lo fa recitare, ma firmando sempre con l’imperfezione ogni sua battuta. Come si fa ad imporre valori di comportamento quando i valori sono il punto finale di un processo creativo e rigidamente anarchico? Parlare di etica sarebbe come invocare una teoria della relatività valida per tutti? I punti interrogativi sono l’unica certezza.
Alla fine, questa puntata si ritrova davanti ad un “no” e ad un “sì”. Il no: la cosa è davvero intricata – perciò bisogna discuterne. Per farlo, bisogna conoscere queste realtà vivendole dall’interno, situazione veramente rara. Il sì: talvolta ci vorrebbe uno spin doctor anche per la propria coscienza… così sarebbe assicurato l’happy end! (that’s all, folks!)
Tratto da Spinning Politics

Le puntate precedenti:
Lo spin doctor di Dio
Spin Doctors: fare scandalo fa bene
Spin Doctors: Uomini e Storie – Gli spin doctors vanno a Hollywood
Spin Doctors: Uomini e Storie – L’apoteosi dello spin doctor
Spin Doctors: Uomini e Storie – L’arma perfetta
Spin Doctors: Uomini e Storie – Edward Bernays
Spin Doctor: Uomini e Storie
Eventi