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Comin: il ruolo della comunicazione nella costruzione del sistema Italia

26/03/2009

E' quanto ha sostenuto il presidente Ferpi al Forum della Comunicazione che si è svolto lo scorso 26 e 27 marzo a Roma. In una giornata che fa della comunicazione il focus del rilancio del Brand Italia nel mondo, Gianluca Comin, ha fornito una fotografia del Paese, capace di ricordare le sue debolezze, ma anche di riconoscere le sue eccellenze, spesso nascoste.

“L’Italia che Comunica: ripartire dalle eccellenze dell’Italian style per il rilancio del brand Italia nel mondo” è il titolo della Plenaria d’apertura del Forum della Comunicazione 2009 – che si è svolto lo scorso giovedì 26 e venerdì 27 marzo al Palazzo dei Congressi di Roma – a cui ha preso parte come Keynote Speaker Gianluca Comin, Presidente FERPI e Direttore Relazioni Esterne Enel.


Nella sessione si è voluto mettere al centro dell’agenda politica, economica e sociale del paese il tema della comunicazione, con l’obiettivo di innescare un vero e proprio engagement tra il mondo della comunicazione e i protagonisti del rilancio dell’immagine dell’Italia nel mondo (leader politici, imprenditori, rappresentanti delle istituzioni) attraverso la presentazione e l’analisi delle eccellenze dell’Italian Style.


Nel suo intervento Gianluca Comin ha fornito una fotografia del Paese, capace di ricordare le sue debolezze, ma anche di riconoscere le sue eccellenze, spesso nascoste, individuando gli strumenti giusti per cominciare a lavorare insieme ad una migliore immagine e percezione del nostro Paese all’estero.


Di seguito l’intervento integrale del Presidente


Gianluca Comin


Ci sono alcune affermazioni che fanno ormai parte della moda di questi ultimi anni e che sono diventate ormai familiari. Quasi un leit-motif del dibattito intorno al Made in Italy e alla competitività del nostro Paese. Frasi tipo: “La struttura produttiva è scarsamente competitiva sul piano dell’economia globalizzata”. “C’è bisogno di uno sforzo di ricerca scientifica e promozione di capitale umano adeguato”. O ancora: “Occorre riqualificare il marchio Italia, incapace di portare nel mondo un’immagine moderna e competitiva dell’Italia che vada oltre vecchi stereotipi: la dolce vita, la bella Italia, l’ arte, la cultura, etc.”.


Sono concetti talmente ripetuti, spesso fuori luogo al punto che imperversano ormai nell’opinione pubblica e nella dialettica politica: non c’è programma di partito o evento di risalto mediatico, in cui non siano indicate come freni al rilancio del Made in Italy e ad una migliore percezione del nostro Paese nel mondo.


Il nostro è spesso descritto come un Paese noto per il buon cibo ed il calcio, privo di una vera strategia. E’ un ritratto che i media italiani hanno contributo ad amplificare e a “prestare” alle pagine dei più popolari e diffusi magazine stranieri.


Non possiamo sorprenderci, dunque, se secondo una ricerca Ipsos e Fondazione InterCultura, l’Italia fa parlare bene di sé all’estero soprattutto per gli aspetti legati ai suoi pilastri tradizionali: i prodotti genuini e la qualità del cibo (63%), la cultura e il patrimonio (57%), i personaggi (56%), i luoghi (41%).
Il tono si fa più neutrale quando si parla di sport (45%), attività economiche (33%) e a seguire economia (20%).


La stampa straniera trasmette poi una percezione di negatività costante sul nostro Paese. In un articolo su cinque, il giornalista che racconta un fatto accaduto in Italia estende il giudizio al Paese ed a tutti gli italiani, giungendo a parlare dei suoi caratteri più negativi: azioni improvvide del Governo, criminalità, vizi. E così via.


Tali articoli arrivano a descrivere un profilo molto più negativo (46%) che positivo (29%), e solo in parte minore neutrale (25%). Questo approccio sfavorevole è confermato anche dai paragoni che vengono fatti con altre nazioni: in un 17% di articoli si paragona l’Italia ad altri Paesi e nella maggior parte dei casi (52%) questo avviene in riferimento ad eventi che sono stati giudicati non positivamente dal giornalista.


E questa percezione del Bel Paese trova spazio anche sui network televisivi. Giusto per citare qualche esempio, una scuola di lingue olandese pubblicizza i suoi servizi con uno spot davvero molto “cattivo”, in cui l’Italia è sempre dipinta allo stesso modo: tutta pizza e mandolino, come al solito. E poi, commenti pesanti sulle ragazze e sulla furbizia. Lo spot che vuole portare gli olandesi a studiare le lingue e termina con: “gli olandesi sono più intelligenti perchè studiano le lingue”. In Germania, “Tony l’italiano” è il protagonista di una popolare campagna pubblicitaria che ci ritrae come semplici macchiette.


E’ il momento di cambiare. E di costruire un forte progetto comune imperniato sul sistema Italia e capace di raccontare e difendere i suoi primati e le sue eccellenze.


Solo per citare qualche dato, siamo leader mondiale negli yatch di lusso come nella meccatronica (integrazione tra meccanica e elettronica). Siamo leader nella automazione meccanica che nel 2008 ha registrato un surplus commerciale di 78 miliardi di euro. E’ vero abbiamo dimezzato le paia di scarpa esportate, ma è aumentato il fatturato. Produciamo il 40% in meno di vino rispetto alla metà degli anni 80, ma il valore dell’export è quadruplicato superando di molto i tre miliardi.


Non deve sorprenderci dunque se quelle che gli esperti chiamano le quattro A del Made in Italy (Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Alimentari-vini e Automazione-meccanica) nel 2007 hanno sfiorato il nuovo surplus record complessivo di 113 miliardi di euro, con un aumento di 9 miliardi rispetto al 2006. E non può sorprenderci neppure se il 2008 chiuderà con un ulteriore risultato record: un surplus di 116 miliardi .


Non a caso per gli esperti questi sono stati gli anni del “grande miracolo delle esportazioni”. Pensiamo a come i prodotti del Made in Italy abbiano saputo ricollocarsi prima della crisi internazionale in alcuni mercati dell’Est Europa, soprattutto della Russia e dei Paesi Arabi.


Nel mercato russo, l’Italia si classifica come primo fornitore di articoli di qualità e di lusso e come secondo fornitore di abbigliamento dopo la Cina. Non è un caso, quindi, se a settembre 2008,le nostre esportazioni di calzature verso questo Paese sono aumentate del 29%, il tessile-abbigliamento del 13%, gli alimentari ed i vini del 60%.


L’Italia fino all’esplosione della crisi ha saputo intercettare fino all’ultimo i residui rivoli di domanda mondiale.
Il nostro Paese è ancora il primo esportatore di prodotti creativi a livello mondiale dopo la Cina e il primo tra quelli delle economie sviluppate con un valore complessivo di 28 miliardi di dollari .


Secondo il Country Brand Index 2008, lo studio internazionale che monitora l’immagine di oltre 40 Paesi al mondo, l’Italia occupa il 4° posto, quando lo scorso anno si trovava al quinto e torna ad essere la meta più apprezzata tra le destinazioni europee. L’Italia è la nazione più conosciuta al mondo con un awareness superiore anche a quella degli Stati Uniti.


Siamo il primo Paese al mondo per numero di siti classificati dall’Unesco nella lista del patrimonio culturale mondiale. Nonostante la sua esigua estensione territoriale, l’Italia conta infatti ben 43 siti. La Spagna ne ha 40, la Cina 37, la Francia 33. Non è un caso se quindi se – sempre secondo il Country Brand Index – l’Italia vanta il primato come Best Country Brand for Art and Culture accanto a quello come Best Country Brand for Fine Dining.


E’ vero. Il primo museo italiano per visitatori è solo al settimo posto nella classifica globale.


In realtà, se sapessimo leggere bene i dati prodotti dalle nostre ricerche, scopriremmo che l’Italia è ancora un “museo diffuso del mondo”. Il numero di visitatori e gli introiti dei musei, dei monumenti, delle aree archeologiche statali e dei circuiti museali nel nostro Paese sono in costante crescita: 34 milioni nel 2006 secondo gli ultimi dati disponibili del ministero dei Beni Culturali (con una crescita del 4,6% rispetto al 2005) e gli introiti hanno superato i 104 milioni di euro (con una crescita dell’ 11% rispetto al 2005).
E, nei primi sei mesi del 2008, il Colosseo insieme con il Palatino e il Foro Romano compaiono nella top 30 dei più visitati musei, monumenti e siti archeologici statali esibendo un forte incremento dei visitatori (+8.91%) e degli introiti lordi (+11.24%).


L’Italia vanta anche primati in termini di reputazione ed affidabilità: secondo il “The Reputation Institute Global 200” pubblicato dal magazine Forbes, ben otto imprese italiane compaiono fra le 200 società più affidabili al mondo: Ferrero, Barilla, Indesit, Coop Italia, Esselunga, Autogrill, Luxottica e Pirelli.


Alle Olimpiadi di Pechino, forse non è ben noto, l’ industria italiana ha avuto un ruolo da protagonista: erano bresciani molti fucili premiati, marchigiane le auto elettriche, piemontesi le pavimentazioni degli impianti sportivi e toscani gli scafi del canottaggio.


Un discorso a parte merita il turismo. Nella diffusa classifica del World Economic Forum “The Travel &Tourism Competitiveness Report”, l’Italia è al 28/mo posto per competitività e attrazione turistica. Buoni ultimi nella vecchia Europa a 15, dietro a tutti i nostri potenziali rivali come Francia e Spagna, che attirano più stranieri di noi. E superati da quei Paesi come il Lussemburgo che non hanno certo nel turismo il loro cavallo di battaglia.


Quali sono le ragioni di questa non incoraggiante posizione? Le nostre infrastrutture non sono sempre all’altezza della situazione (alberghi ma non solo), manca un cervello pensante capace di organizzare l’offerta nazionale e c’è uno scarso uso dell’agenzia di viaggio più utilizzata al mondo, internet.


Siamo il Paese più noto al mondo, una tra le mete più apprezzate e desiderate, ma stiamo perdendo costantemente appeal come meta turistica e di richiamo internazionale.


Eppure siamo il Paese più cliccato del mondo: ciò vuol dire che, nonostante le difficoltà del sito Italia.it, la maggior parte dei turisti di tutto il mondo ricerca on line il bel Paese e la varietà delle offerte che esso può offrire .


Insomma c’è un Italia che vince, ma resta muta. Un’Italia che ha bisogno di competere. E specie in un momento come questo di profonda crisi economica, bisogna trovare, quindi, il modo più opportuno per mostrare i propri successi.


Proprio la crisi, infatti, ci invita a leggere il Paese con occhi diversi, meno pigri e meno lontani. A cogliere nelle caratteristiche specifiche del nostro sistema produttivo, nelle nostre eccellenze, le radici di una scommessa sul futuro.


Alcune nuove aree di reputazione, dunque, diventano di fondamentale importanza per rendere più competitiva la nostra immagine. Quali?


1) Un Paese che non vanta delle credenziali ambientali valide oggi non trova spazio nel consenso internazionale e dell’ opinione pubblica.


Pensate solo a quanto abbia pesato sull’immagine dell’Italia il reality dei rifiuti in Campania. L’Italia è stata percepita come una nazione che si è adoperata ben poco per l’ambiente, incapace di gestire un’enorme eredità naturale e culturale.


2) Un Paese che non viene percepito al passo con i tempi, tecnologico, “moderno” oggi non è ammirato.


L’Italia, come la Germania, viene reputata una nazione che eccelle per quanto riguarda la meccanica. Abbiamo marchi noti come Ferrari e Ducati, ma siamo percepiti come un Paese antico, che non investe in modernità nelle sue infrastrutture.


3) Un Paese deve essere percepito come luogo di apprendimento e miglioramento economico e culturale.


Insomma, una destinazione ideale per un proprio avanzamento personale.


La nostra migliore università pubblica è al 173º posto nella graduatoria dei migliori atenei del mondo (Fonte: Classifica annuale del QS World University Rankings pubblicata nel Times Higher Education Supplement) e circa 6.000 “cervelli” ogni anno lasciano l’Italia per gli Stati Uniti.


L’Italia sembra quindi rientrare “appena” in queste tre aree. Il nostro è un Paese percepito più come ornamentale che utile. Se l’Italia ha voglia di competere, il resto del mondo vuole che resti “in vacanza”.


Questa fotografia dell’Italia è la dimostrazione che più che essere un Paese in declino, siamo un Paese che, forte della gloria del passato, stenta a riconoscere il bisogno di modernizzazione e di un riposizionamento di cui necessita. Una miopia che tende ad aggravarsi a causa di una scarsa capacità strategica di promuovere i propri punti di forza e di un inefficace tutela della sua immagine da parte dei media italiani ed esteri.


E invece, è evidente, abbiamo bisogno di rilanciare il nostro Brand in tutto il Mondo. Dobbiamo liberarci di una serie di luoghi comuni e false verità. E dobbiamo ricostruire la carta della fiducia, piattaforma di ripresa e di nuova energia economica e civile.


Ecco a cosa serve la comunicazione.


Occorre affidarLe il ruolo che finora le è stato sempre negato, forse per scarsa fiducia nelle sue possibilità: quello di guida del rinnovamento.


In un contesto di forte crisi, come quella che stiamo attraversando, non è più pensabile di voler rilanciare l’immagine del Paese senza investire nei settori più vitali e più innovativi, come è quello della comunicazione.


Le dimensioni del suo mercato, la spinta all’innovazione che da sempre lo caratterizzano, i numeri sempre più alti della partecipazione attiva da parte della società civile ai suoi nuovi format, lanciano un messaggio unitario e positivo: è il momento di riconoscere alla comunicazione e, alle potenzialità della sua formazione, reali vantaggi competitivi.


Una delle certezze con cui si è chiuso il Summit della Comunicazione dell’Upa e che ha visto la partecipazione di esperti ed autorevoli economisti, è stata la consapevolezza che solo le marche che “terranno il timone fermo” sugli investimenti in comunicazione riusciranno per prime ad approdare salve, oltre la tempesta”. Questo è vero non solo per il futuro delle nostre aziende, ma anche per il futuro del Brand Italia.


Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di aumentare l’efficacia della promozione e della “commercializzazione” della Marca Italia nel mondo. E non solo di quella turistica.


Dobbiamo dare una svolta decisiva per l’innovazione e la reale collaborazione tra le tutte le parti in gioco; dobbiamo avere una visione del turismo legata al suo ruolo di marketing del sistema Italia e non più solo al suo peso economico; dobbiamo imboccare la grande corsia preferenziale della comunicazione, che punta all’uso di tutti i nuovi strumenti di persuasione e promozione.


Se l’immagine del Paese ha subito ferite difficili da rimarginare, possiamo riconoscere che il nostro Paese è depositario di straordinarie eccellenze. E bisogna ripartire proprio dalla valorizzazione dei delle eccellenze, dalla minimizzazione delle aree di debolezza e dalla elaborazione di una “strategia di comunicazione forte e di posizionamento”.


Occorre che la grande industria della comunicazione funzioni da cabina di regia in grado di coordinare le iniziative più importanti di comunicazione del nostro Paese e di supervisionare contenuti e linguaggi.


Dobbiamo studiare un vero e proprio piano di comunicazione, con una strategia differenziata per target (cittadini, consumatori, turisti, business community), per Paesi/Culture, che muova da un coordinamento delle attività dei più importanti soggetti che rappresentano la marca Paese: l’industria, la cultura, le istituzioni, la scienza, l’accademia, il sistema dei media.


Nelle tante manifestazioni italiane promosse per il mondo è infatti difficile trovare degli elementi unificanti, come ad esempio un comune pay off che le colleghi elevandone l’impatto. Occorre gestire l’immagine dell’Italia come se fosse una marca. E lavorare in termini di marca vuol dire applicare la stessa visione strategica, gli stessi criteri di rigore, attenzione al cliente, sistematicità nella costruzione identitaria e nella definizione di benefit e di attributi, che caratterizzano l’approccio delle grandi imprese al mercato. Dobbiamo monitorare in progress, nei principali Paesi, l’immagine dell’Italia e i risultati di una comunicazione finalmente concertata.


Dobbiamo sfruttare il nostro senso di accoglienza e la nostra capacità di organizzazione del tempo libero, migliorare le nostre iniziative, le nostre offerte e analizzare cosa non ha funzionato nella nostra capacità di promuoverle fino ad oggi.


Una recente ricerca dal titolo «L’Italia. Il declino economico e la forza del turismo » promossa dal Master in economia e management del turismo dell’Università la Sapienza di Roma dimostra come l’Italia spenda per la promozione più o meno la stessa cifra degli altri Paesi del Vecchio continente: 160 milioni di euro l’anno, contro i 180 della Francia e 170 della Spagna. Solo che più della metà di questa somma, nel nostro Paese, viene assorbita dagli stipendi e dalle consulenze delle strutture che di questo si occupano. Poco va alla promozione. E quel poco è frammentato in mille rivoli.


Dobbiamo sfruttare meglio le nuove tecnologie. Dobbiamo migliorare i siti dei nostri enti, delle nostre strutture, delle nostre regioni, delle nostre università, delle nostre imprese per “fermare” chiunque voglia visitare i nostri luoghi, conoscere le nostre tradizioni, ricercare semplicemente informazioni o venire a studiare, a perfezionarsi nelle nostre università o a lavorare nelle nostre aziende.


Gli operatori della comunicazione e i migliori esponenti dell’offerta accademica, devono unire anche le forze per lanciare nuovi e importanti progetti capaci di formare nuove professionalità utili a “rilanciare” il Brand Italia nel mondo: penso ad esempio ad un corso di laurea in Marketing del Sistema Italia.


Ricette magiche non ne esistono, dunque, ma se non ci faremo paralizzare dalla paura, se avremo l’ambizione di innovare, se saremo capaci di rimetterci in discussione, di confrontarci, di unire le forze, se agiremo con tempestività, coraggio e metodo allora ce la faremo. Penso ad esempio al primo progetto Europeo, lanciato da Ferpi in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri su “Public Diplomacy e le Relazioni Pubbliche” che dimostra una maggiore consapevolezza e apertura da parte delle istituzioni pubbliche alla nostra professione ed una volontà delle nostre realtà associative di trasferire le competenze per migliorare le relazioni del nostro Paese all’estero.


Il nostro brand è sinonimo di tradizione, italianità, know-how, solidità, siamo tutti chiamati a renderlo sinonimo di innovazione, internazionalità, avanguardia e sensibilità ambientale. Solo così riusciremo a non vedere mai uno spot in giro per il mondo dal titolo “C’era una volta l’Italia”.





Al Forum della Comunicazione 2009 Ferpi, che ha sostenuto sin dall’inizio il progetto promosso da Comunicazione Italiana, partecipa attivamente al programma dell’evento ed è presente con uno stand proprio.



Per maggiori informazioni sul Forum della Comunicazione: http://www.forumcomunicazione.it/
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