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Dalla giuria del Best Event Award: ci facciamo un bel me-tooism?

25/10/2004

Un commento di Toni Muzi Falconi ai lavori della giuria del premio Best Event Award.

Nei primi anni sessanta lo storico americano Daniel Boorstin, recentemente scomparso e per decenni direttore della Library of Congress, il più denso e ricco deposito ragionato di conoscenza del mondo, pubblicava il pamphlet:The image..or what's happened to the american dream?In quell'opera - e già 40 anni fa - Boorstin criticava la pervasività degli pseudoeventi, iniziative inventate da ogni tipo di organizzazione (istituzioni, imprese, associazioni) per attirare su di sé l'attenzione dei pubblici, distraendoli dagli eventi 'veri' e cosi' affollando di byte effimeri il sistema dei media e la testa delle persone.Un libro profetico...Ecco ora, anche in Italia il premio BEA, Best Events Award (rigorosamente in inglese...) di cui ho avuto l'onore di presiedere la Giuria, che ha appena concluso i  lavori della sua prima edizione i cui risultati verranno resi noti a Milano il prossimo 25 Novembre.Fino a quella data acqua in bocca, ma avendo avuto la possibilità di vedermi presentazioni di una ottantina di eventi valutati dai rispettivi autori degni di un premio, penso possa essere utile qualche spunto di discussione su un sempre piu' diffuso, multiforme e frequentato strumento di comunicazione delle organizzazioni.1) Gli investimenti per l'evento di comunicazione interna (convention dipendenti, agenti, forze vendita) sono mediamente  più elevati di quelli per la comunicazione esterna. Questo fenomeno, di per sé interessante perché segnala l'attenzione del management allo spirito di corpo e alla motivazione delle persone, implica anche lo sviluppo di strutture specializzate per l'organizzazione di eventi interni che inevitabilmente tenderanno a salire nella catena dell'offerta anche verso la consulenza di comunicazione interna, a scapito delle agenzie di relazioni pubbliche che parrebbero invece escluse da questo ghiotto segmento di mercato.2) I grandi road show o tour di prodotto che con frequenza crescente affollano d'estate le spiaggie delle nostre localita'à balneari e in primavera-autunno le piazze delle città sono sempre ripetitive e uguali. Le musiche assordanti e gli effetti speciali si assomigliano, come anche le persone che vi partecipano e i prodotti/servizi che vi si presentano...una noia....Si stenta a credere che siano davvero iniziative utili se non per rimbambire i malcapitati che per 'zappare' cambiano strada finendo alla fine per attrarre soltanto ragazzini aficionados in cerca d'autografo delle veline o dei velini di turno.3) Le agenzie che presentano il loro lavoro per ricevere il premio si assomigliano anche loro, se non altro per la diffusa abitudine di attribuire ad ogni loro progetto un titolo in inglese (talvolta anche sgrammaticato!)...4) Anche i formati dei video, le colonne sonore, le soluzioni creative, i testimonial, gli spettatori...se ne ricava una identica e patetica sensazione di uniformità priva di fantasia e creatività...quasi che i comunicatori di un paese con il maggior numero di anziani, in picchiata di competitività e pratica trasparente, ove crollano i consumi si autorappresentino in un cupio dissolvi con titoli in inglese, ragazze e ragazzi in perenne convulsione pelvica, carichi di gadget e di piercing.Naturalmente la mia è una visione assai parziale e sconsolata, anche perché qualcosa di nuovo e di diverso si è in effetti visto. Cari colleghi organizzatori di eventi...quale strumento migliore di un evento per avviare un dialogo, una relazione con i pubblici influenti? Quale terreno più fertile per  sperimentare modalità nuove di comunicazione con? Possibile che dobbiamo sempre fare le stesse cose che fanno gli altri? Da questa esperienza se ne deduce che l'anchioismo (me tooism) è il vizio più diffuso degli organizzatori di eventi.(tmf)
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