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Decisioni: esistono scelte giuste e sbagliate?

10/03/2016

Giampiero Vecchiato

Uno dei compiti essenziali di un manager o di un imprenditore è quello di decidere. Nella decisione confluisce e in un certo senso si concentra l’intero processo di governo aziendale. Molto spesso, però, la maggior parte dei manager e degli imprenditori passa fin troppo velocemente alla decisione in senso stretto, credendo di avere ben chiara la questione sulla quale decidere. Giampiero Vecchiato e Mariapaola La Caria ricostruiscono il processo decisionale in azienda.

 

La decisione è la scelta di “intraprendere un’azione, tra più alternative considerate (opzioni), da parte di un individuo o di un gruppo (decisore).

 

Uno dei compiti essenziali di un manager o di un imprenditore è quello di decidere. Nella decisione confluisce e in un certo senso si concentra l’intero processo di governo aziendale.

 

Molto spesso, però, la maggior parte dei manager e degli imprenditori passa fin troppo velocemente alla decisione in senso stretto, credendo di avere ben chiara la questione sulla quale decidere.

 

Il primo passo della decisione sta, invece, proprio nell’individuare il problema, che non è mai così chiaro. La decisione è, infatti, solo l’ultima parte di un “processo”.

 

Ovviamente precisiamo che qui non parliamo di decisioni marginali, che non hanno conseguenze, quanto piuttosto di decisioni fondamentali per la vita dell’impresa che portano a cambiamenti essenziali. Solitamente in situazioni di questo tipo il problema non è mai chiaro, c’è una complessità di fondo che presuppone quindi una specifica attività di analisi.

 

Fredmund Malik (2007), uno dei massimi esperti di management al mondo, propone un processo decisionale in 6 fasi
1. precisa determinazione del problema;
2. specificazione delle richieste che la decisione deve soddisfare;
3. elaborazione di tutte le alternative;
4. analisi dei rischi e delle conseguenze per ciascuna alternativa, nonché l’accertamento delle condizioni limite;
5. inclusione della realizzazione nella decisione;
6. previsione di feedback: follow up e follow through.

Il primo elemento essenziale del processo decisionale è la precisa determinazione del problema. Molti adducono alla complessità il fatto di non poter definire al meglio il problema, ma è importante ricordare che l’incomprensione del problema porterà a una decisione scorretta.

 

Per determinare il problema è importante innanzitutto la classificazione del problema stesso: singolo caso o problema generale? Nel primo caso la decisione deve utilizzare un metodo ad hoc, solo per il caso specifico. Nel secondo caso si presuppone una decisione generale e quindi la definizione di un principio o una regola generale per risolverlo. Situazioni di questo tipo necessitano di assoluta prudenza. Come già detto in questa situazione la domanda chiave è “qual è il vero problema?”. Per non cadere nella errata determinazione bisogna sempre esaminare ciascuna definizione del problema alla luce di tutti i fatti disponibili. Tale attività deve portare in particolare alla distinzione dei fatti (numeri solitamente) dalle opinioni che si hanno dei fatti stessi in modo da comprendere il problema in tutti i suoi aspetti. Prendiamoci del tempo per riflettere. Sarà tempo speso bene!

 

Secondo passo: elaborare le richieste che la decisione deve soddisfare. La domanda chiave è la seguente: che cosa sarebbe giusto? La determinazione delle specifiche non può orientarsi alle richieste più difficili, ma neanche alle più semplici. Le richieste minime vanno definite con precisione e tutto ciò che la decisione apporta sarà un’aggiunta positiva. Nel processo decisionale, inoltre, è necessario tenere presente i compromessi, che spesso vengono richiesti, soprattutto nella fase della realizzazione. Non si può quindi introdurli troppo presto nel processo decisionale. Potrebbero modificare la domanda alla quale rispondere e quindi rendere inefficace la decisione. Nella fase di risoluzione è quindi necessario non andare al di sotto della condizione ideale minima nella quale prendere le decisioni.

 

La terza fase è rappresentata dall’elaborazione di tutte le alternative. Due sono gli errori che non si devono commettere: accontentarsi delle prime alternative proposte ed escludere dalla trattativa lo status quo. Lo status quo rappresenta spesso un’alternativa, non la migliore, ma ha la caratteristica che le difficoltà possibili sono già conosciute. Esistono molte più alternative di quante ne conosciamo in un dato momento. Pur essendo consapevoli che la ricerca non possa continuare all’infinito, è chiaro che non ci si può fermare alla prima variante. Il percorso di ricerca delle alternative non è brevissimo, per questo motivo i bravi decisori prendono poche decisioni e dedicano il tempo giusto al processo decisionale.

 

La quarta fase è sicuramente la parte più faticosa. Considerare scrupolosamente tutti i rischi e le conseguenze connesse a ogni alternativa.

 

Per approfondire al meglio la questione ci sono alcuni punti da tenere presente:

 

  • quanto a lungo le singole alternative terrebbero occupata l’azienda e se la decisione può essere considerata reversibile. Le decisioni che vincolano l’azienda a breve termine possono essere prese più alla leggera. Ciò non può succedere in situazioni che porterebbero l’azienda a percorsi difficilmente modificabili;

  • riconoscere i rischi ai quali si va incontro nella scelta di una decisione. Possiamo riconoscerne quattro tipologie: il rischio di ogni attività imprenditoriale; un ulteriore rischio che l’imprenditore può decidere di correre senza esserne travolto, se mai dovesse concretizzarsi; un rischio che può portare alla catastrofe se subentrassero le conseguenze a esso correlate; il rischio dettato dalla sorte, obbligato dal fatto che non vi sia alcuna altra opzione.


 

Devono, inoltre, essere fissate le condizioni limite di qualsiasi alternativa, oltre le quali ci si deve fermare e considerare in maniera diversa la scelta. Nella quinta fase del processo, una volta concluse tutte le analisi è ragionevole pensare che si sia in grado di prendere la decisione giusta. Nonostante ciò esistono persone che per irresolutezza non decidono.

 

Per agire al meglio è bene ascoltare un consulente speciale e anche economico: se stessi. Le famose frasi che ogni tanto sentiamo come per esempio: “faccio passare la notte”, oppure “d’istinto penso sia giusto così”, sono tutte esempi di come ciascuno ascolti il proprio io interiore. Qualcuno definisce tale situazione “intuizione”.

 

È importante affermare che, seppur condizione importante, l’ascolto di se stessi non può essere utilizzato da solo per determinare la decisione, senza tutto il percorso già descritto sopra. E cosa succede dopo?

 

Il sesto passo del processo consiste nello stabilire e fissare in forma scritta i provvedimenti critici indispensabili all’attuazione della decisione. Per ogni provvedimento è necessario individuare le persone responsabili e in seguito le scadenze. Il piano d’azione, con responsabilità chiare, competenze richieste e scadenza è il punto di svolta per l’efficacia della risoluzione. Senza questo passo restano solo i buoni propositi.

 

Durante l’attuazione della decisione l’imprenditore/manager controlla l’avanzamento e le difficoltà del percorso. Piuttosto che un follow up post attuazione, è preferibile quello che Malik (2007) chiama follow through, che consiste nella costante supervisione delle attività che portano alla realizzazione stessa. Questa è l’ultima fase del processo decisionale.

 

Per gestire in maniera efficace il percorso metodologico che determini la soluzione a un problema, si propongono alcune riflessioni utili a non commettere errori nella determinazione e attuazione di una decisione.

 

Spesso si tende a pensare che i manager siano bravi quando prendono molte decisioni. Malik è fuori dal coro in questo senso: secondo il suo pensiero, infatti, sono migliori coloro che ne prendono poche, dopo aver riflettuto e ponderato la questione, poiché ognuna di esse comporta dei rischi e delle conseguenze e, correggere gli errori decisionali costa molto più tempo e risorse di quanto non costi il tempo per la riflessione.

 

Esistono ovviamente delle situazioni in cui la celerità è decisiva. Anche in questi casi non ci si affida alla fortuna, quanto ad alcuni elementi che fanno parte della nostra vita: il lavoro e la conoscenza del settore, dell’azienda, della situazione permettono tale velocità. Naturalmente ciò verso cui si deve aspirare è l’equilibrio tra tempismo e scrupolosità. Per tendere verso tale stato sono necessarie: la capacità di giudicare, l’esperienza e molta conoscenza specialistica.

 

Una volta che si è presa la decisione, è necessario metterla in atto per far sì che dimostri la sua efficacia. La realizzazione è dunque più importante della sua risoluzione. Perfino la migliore decisione può rivelarsi fallimentare durante la fase di realizzazione a causa della messa in atto visto che può essere falsificata, sabotata, ecc.

 

In ogni passo del processo decisionale inoltre è importante avere in mente il momento della concretizzazione: pensare, per esempio, alle persone necessarie alla sua realizzazione e coinvolgerle da subito nel processo di ricerca della scelta migliore. La partecipazione al processo permette che il percorso della decisione sia più semplice e arrivi fino in fondo.

In un’organizzazione le decisioni si possono distinguere anche in base al numero di attori coinvolti:

  • decisioni individuali, assunte da un solo individuo per sé stesso;

  • decisioni collettive, assunte per un gruppo da un individuo, dal gruppo stesso o da un altro gruppo.


Le decisioni collettive pongono alcuni problemi particolari. Devono essere accettate dai membri del gruppo, chiamati a porre in essere le azioni decise; occorre, pertanto, che chi decide abbia il potere (in particolare, un potere sociale) di prendere decisioni per tutti. Inoltre, quando la decisione è presa da una pluralità di individui, occorrono delle regole per trasformare le scelte di ciascuno di essi nella scelta collettiva (per esempio, la regola della maggioranza).

 

Nel caso delle decisioni collettive si pone anche la questione del ruolo dei gruppi formali e informali all’interno dell’azienda e il loro potere nel determinare le decisioni (Frisch, 2011). Molto spesso, infatti, oltre al Consiglio di amministrazione, organo formale solitamente deputato alla delibera delle decisioni, esistono gruppi informali, creati dal presidente e/o amministratore delegato per aiutarlo nella scelta. Entrambi i gruppi sono indispensabili nella fase di analisi ed elaborazione e quindi dovrebbero essere a conoscenza della propria utilità. Il capo d’azienda deve consultare i due gruppi rendendo il Consiglio di amministrazione uno strumento di consulenza e coordinamento, costruendo invece un gruppo informale leggero, utile e al di fuori delle gerarchie .

 

(Ha collaborato Mariapaola La Caria)

 
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