Redazionale
Obbligo e opportunità strategica per le imprese europee
La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), entrata in vigore nell’Unione Europea, segna un punto di svolta nella rendicontazione di sostenibilità. Non più un esercizio volontario o frammentario, ma un quadro normativo standardizzato e vincolante che impone alle imprese di integrare i temi ESG nei propri bilanci e nelle proprie strategie.
Il duplice obiettivo rappresenta da un lato la volontà di rafforzare la trasparenza e la comparabilità delle informazioni ambientali e sociali, dall’altro orientare il mercato verso modelli di crescita sostenibili. Per molte imprese, tuttavia, l’adeguamento alla nuova disciplina ha comportato sfide significative: sistemi di gestione dati più robusti, maggiore collaborazione trasversale tra funzioni aziendali e, non da ultimo, un cambio culturale interno.
La transizione verso la rendicontazione obbligatoria ha fatto emergere la complessità operativa: raccolta e qualità dei dati, engagement lungo l’intera catena del valore, responsabilità diffuse nei processi decisionali. In questo contesto, molte aziende stanno sfruttando la CSRD come leva strategica, allineando gli obiettivi di sostenibilità con la pianificazione aziendale e trasformando un adempimento normativo in un elemento di vantaggio competitivo.
L’analisi promossa da Deloitte a livello internazionale sul primo anno di reportistica ai sensi della CSRD, “Beyond compliance: Enhancing trust through reporting” mostra come la Direttiva stia già incidendo in modo significativo sui modelli di business, sulle strategie di investimento e sul rapporto con gli stakeholder.
Banking: il 90% delle banche ha comunicato target di riduzione delle emissioni finanziate, con un impatto diretto sull’allocazione del capitale. Sempre più diffuso il ricorso al framework PCAF, sebbene resti forte la dipendenza da dati forniti dalle controparti. La biodiversità entra nei radar, soprattutto come rischio di portafoglio.
Industria dei consumi: massima attenzione alla trasparenza delle catene di fornitura, con il 95% delle aziende che rendiconta le emissioni Scope 3 legate a beni e servizi acquistati. In crescita l’approccio circolare (58 aziende hanno definito obiettivi su packaging riutilizzabile o riciclabile) e l’investimento in assurance esterna per rafforzare la credibilità delle dichiarazioni ESG.
Tecnologia, Media e Telecomunicazioni (TMT): il 60% ha identificato i lavoratori lungo la value chain come tema materiale, integrando i principi ONU sui diritti umani nei contratti con i fornitori. Si affaccia la questione della “responsible AI”, riconosciuta come tema materiale da un terzo delle aziende, mentre restano limitate le disclosure su impatti legati alla natura.
Energia, Risorse e Industrials: focus crescente sulle emissioni Scope 3, con 30 aziende che hanno fissato target Net-Zero. Tutte hanno individuato il cambiamento climatico come tema centrale, con approfondimenti su uso delle risorse, circolarità e pratiche di lavoro. I dati sono raccolti con crescente granularità, a conferma dell’attenzione al controllo qualitativo.
Life Sciences e Healthcare: emerge il tema dell’equità nell’accesso ai farmaci, con sei aziende che lo hanno definito “materiale”. La ricerca e sviluppo etica si concentra su sicurezza dei pazienti e privacy dei dati clinici, mentre cresce l’attenzione agli impatti ambientali dei prodotti nel post-consumo.
L’approfondimento dello stato dell’arte dell’applicazione della CSRD in Italia, contenuto nel Report “CSRD Insights - I primi report delle quotate italiane a confronto”, fa emergere inoltre una forte variabilità nei report pubblicati, sia in termini di lunghezza (da 54 a 379 pagine nei settori più complessi, come Servizi finanziari e Oil&Gas) sia di contenuti, con significative differenze nell’identificazione di impatti, rischi e opportunità.
Nonostante ciò, alcuni temi risultano trasversali a tutti i settori: cambiamento climatico (E1), workforce (S1) e corporate conduct (G1). Le imprese italiane mostrano un ricorso elevato a stime, soprattutto per gli indicatori ambientali legati alle emissioni Scope 3. Gli impatti finanziari attuali vengono identificati solo nel 12% dei casi, mentre quelli prospettici sono in gran parte omessi o trattati in modo qualitativo. Interessante notare come il 28% delle aziende identifichi temi “entity-specific”, prevalentemente in ambito sociale e di governance.
La rendicontazione di sostenibilità obbligatoria non è tuttavia soltanto un vincolo normativo, una griglia con cui comunicare all’esterno determinate informazioni: è una possibile leva di innovazione, resilienza e differenziazione competitiva.
La panoramica europea conferma che la CSRD sta già modificando le strategie aziendali, mentre lo spaccato italiano evidenzia una fase di assestamento, con luci e ombre. Per le imprese italiane, la sfida è ora quella di migliorare qualità e comparabilità dei report. Deloitte sottolinea come la capacità di interpretare la CSRD come opportunità, e non solo come adempimento, sarà determinante per consolidare la competitività sui mercati internazionali.
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