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Grunig: il comportamento morale non esiste senza lo studio, la ricerca e la riflessione

20/06/2020

Dana Oancea

I temi dell'etica, quanto mai di attualità, sono al centro di questa intervista di Dana Oancea, Presidente del Forum for International Communications ed editrice del portale PR Romania, con il noto professore di Relazioni Pubbliche James E. Grunig.

Traduzione a cura di Giusy Ribaudo

In questa intervista Dana Oancea, collega Romena Presidente del Forum for International Communications ed editrice del portale PR Romania, parla con il noto professore di Relazioni Pubbliche James E. Grunig sui temi dell’etica, quantomai attuale oggi, come è recentemente emerso dallo European Communication Monitor 2020 (cfr. articolo di Stefania Romenti)

Grunig chiarisce la necessità di una nuova modalità di interazione tra le persone che operano nelle relazioni pubbliche e i loro clienti, spiega la ragione per cui i professionisti che desiderano raggiungere standard professionali devono unire le loro forze, definisce cos’è e cosa non è il comportamento eticoe quali ulteriori step sono necessari per migliorare la reputazione della disciplina. Dana sottolinea che il suo modo di intendere le relazioni pubbliche è stato fortemente influenzato da James, ma il discoroso è altrettanto valido per molti di noi.

Nonostante la sua crescita, la pratica delle Relazioni Pubbliche sta ancora lottando per la professionalizzazione, ostacolata da problemi di identità, confini ambigui e mancanza di chiari standard etici. Che tipo di rappresentazione darebbe di questa professione in termini di comportamento etico?

Trentasei anni fa, nel mio libro intitolato Managing Public Relations, pubblicato nel 1984, ho sottolineato l’importanza del professionalism (letteralmente professionismo)  per lo sviluppo della disciplina delle relazioni pubbliche. Il professionalism (letteralmente professionismo) è difficile per coloro che lavorano nelle relazioni pubbliche  perché queste persone, di solito, lavorano per organizzazioni in cui la loro professione è in minoranza e il loro lavoro, spesso, non è compreso o apprezzato. I legali lavorano in circostanze simili. Di conseguenza, il datore di lavoro o il cliente, in molti casi, chiede al professionista di fare cose non professionali, come ad esempio assumere comportamenti non etici. I professionisti si distinguono da coloro che non lo sono perché condividono norme, valori e conoscenze. In più, i professionisti sono in grado di controllare la natura e gli obiettivi della propria attività, e non permettono a datori di lavoro con poca conoscenza della professione di definire il loro lavoro. Queste condizioni di lavoro ci aiutano a comprendere il valore dell’educazione nelle relazioni pubbliche e il valore delle associazioni di professionisti, in cui le persone che operano nel settore possono interagire. Tali interazioni permettono loro di sviluppare e mantenere norme, valori e conoscenze, e confrontare le proprie esperienze nella lotta per mantenere il potere di controllo sul loro lavoro.
Ho interagito con professionisti ed educatori delle relazioni pubbliche in oltre cinquanta Paesi durante i miei cinquant’anni di lavoro nelle PR, ho visto un notevole progresso nello sviluppo delle associazioni di professionisti e nella qualità ed etica della pratica delle relazioni pubbliche.
Tuttavia, datori di lavoro o clienti immorali e irresponsabili non sempre cercano consulenza o pratiche professionali. In molti vedono le relazioni pubbliche  come un modo semplice e veloce per ottenere o mantenere il potere, oppure per ingannare i propri avversari e persino i propri stakeholders.
A causa delle questioni di identità che ha citato, c’è una moltitudine di pseudo-professionisti delle relazioni pubbliche  che offre in modo rapido i servizi desiderati dai datori di lavoro immorali. Più spesso di quanto non avvenga, essi non hanno successo nel raggiungere gli obiettivi stabiliti dai loro datori di lavoro. Di solito, invece di risolvere i problemi, li rendono più grandi. Nonostante ciò, questi pseudo-professionisti di solito sono abili nel far apparire di aver realizzato gli obiettivi dei propri datori di lavoro o clienti, usando metriche quali il miglioramento dell’immagine, impressions sui media o l’AVE (Advertising Value Equivalent). Sfortunatamente, la professione delle relazioni pubbliche non ha modo di evitare che questi pseudo-professionisti si definiscano come professionisti. Sfortunatamente capita che veri professionisti delle relazioni pubbliche prestino la loro opera a datori di lavoro o clienti non etici perché hanno bisogno di guadagnarsi da vivere, e dunque, spesso, provano un senso di colpa e frustrazione per il proprio lavoro.
Quindi, quale ritratto fare del comportamento etico nelle relazioni pubbliche? Penso che pian piano stiamo facendo dei progressi, ma abbiamo una montagna da smuovere.Esiste ancora il comportamento non etico nella pratica delle relazioni pubbliche. I professionisti che aspirano a raggiungere standard professionali devono unire le forze e definire cos’è e cosa non è il comportamento etico. Possono farlo in modo più efficace attraverso le associazioni di professionisti e supportando la ricerca accademica e l’educazione professionale. Inoltre, è necessario che educhino sé stessi o ricerchino laformazionenelle teorie etiche se non sono ancora in possesso di tali conoscenze.

Il ruolo dell’etica è stato a lungo affrontato dagli studiosi di relazioni pubbliche. Tuttavia, ad oggi ci sono solo alcuni studi empirici sulla pratica etica. Quali difficoltà teoriche e pratiche incontra la moderna professione delle relazioni pubbliche a causa di queste lacune empiriche?

Se interpreto correttamente questa domanda, sembra che lei stia affermando che gli studiosi di relazioni pubbliche  hanno affrontato l’etica da una prospettiva teorica o filosofica, ma ci sono stati pochi studi che documentano effettivamente la messa in pratica di questi principi teorici da parte dei professionisti. La prima parte è vera: gli studiosi di relazioni pubbliche hanno sicuramente costruito teorie etiche dalle teorie classiche della filosofia etica. Tuttavia, non sono certo che la seconda parte della domanda sia vera: penso che ci sia stato un grande numero di studi empirici sull’etica delle relazioni pubbliche in pratica, almeno negli Stati Uniti.
Mi consenta di affrontare prima la natura delle teorie etiche. Sebbene ci siano molti esperti di etica nelle relazioni pubbliche , ricorrerò a due teorie che conosco meglio: il mio lavoro e quello di Shannon Bowen, dell’Università della Carolina del Sud, la quale ha conseguito il dottorato all’Università del Maryland sotto la direzione di mia moglie, Larissa Grunig. Ho scritto un lungo capitolo sull’etica negli anni ’90 per una seconda edizione di Managing Public Relations.
Sfortunatamente, allora il mio tempo era occupato dal progetto Excellence su cui stavo lavorando e non ho mai terminato quella seconda edizione. Con Larissa Grunig, che ha tenuto un corso di etica delle relazioni pubbliche  nel Maryland, ho pubblicato quel capitolo come articolo nel 1996. Nel 2014 ho pubblicato una versione breve di questo articolo come introduzione a un numero speciale della rivista franco-canadese Revue Internationale Communication Sociale et Publique. Il primo articolo può essere scaricato dal sito di ricerca ResearchGate a questo. La versione breve è disponibile sullo stesso sito web a questo indirizzo.
Non entrerò nei dettagli riguardo la teoria che ho sviluppato in quegli articoli, ma i lettori interessati possono scaricarli dai siti web sopra indicati. In breve, comunque, ho considerato due approcci classici all’etica:teleologia, o etica basata sulle conseguenze delle azioni, e deontologia o etica basata su regole morali.
Il termine “teleologia” viene dalla parola greca teleos, che significa “portato alla fine”. Il termine “deontologia” viene dalla parola greca deontos, che significa “dell’obbligatorio”. Le teorie teleologiche, in altre parole, giudicano la correttezza o la scorrettezza dai finia cui le decisioni portano, quindi dalle loro conseguenze. Le teorie deontologiche guardano più ai mezzi utilizzati per raggiungere il fine e si chiedono se una decisione soddisfa le regole che i decisori sono obbligati a seguire. Ho revisionato molte opere sull’etica sia di filosofi sia di studiosi e professionisti delle relazioni pubbliche.
Ho quindi usato elementi di entrambi questi approcci per articolare una teoria dell’etica delle relazioni pubbliche  a livello dell’organizzazione: ad esempio, principi su come un professionista delle relazioni pubbliche  dovrebbe consigliare a un’organizzazione di comportarsi in modo da essere etica.
In poche parole, questi principi erano:

Teleologia - i professionisti delle relazioni pubbliche  etiche si chiedono quali conseguenze hanno le potenziali decisioni organizzative sul pubblico. Inoltre, si chiedono quali esiti vantaggiosi (o soluzioni ai loro problemi) sono richiesti dal pubblico all’organizzazione.
Deontologia - i professionisti delle relazioni pubbliche  etiche hanno l’obbligo morale di rivelare queste conseguenze al pubblico, o affrontarle, e di impegnarsi in un dialogo (o comunicazione simmetrica) con il pubblico sulle potenziali decisioni.

Io credo che questi principi siano ragionevolmente semplici da capire e da applicare, ovvero se l’organizzazione è disposta a lasciare che il professionista delle relazioni pubbliche  le applichi.

Nella sua tesi di dottorato, Shannon Bowen ha sviluppato una teoria deontologica delle relazioni pubbliche  che si basava fortemente sulla filosofia di Immanuel Kant, in particolare sul suo imperativo categorico (essenzialmente la domanda che si chiede se un decisore vorrebbe che un’azione diventasse una legge universale valida per tutti, incluso sé stesso). Shannon ha così espresso l’imperativo categorico: “Questa organizzazione accetterebbe la decisione presa se si trovasse dalla parte di coloro che subiscono tale decisione?”. Ha anche definito diverse regole morali, chiedendo all’organizzazione di tenere conto del suo dovere, dei suoi scopi e della sua dignità, così come del rispetto per l’organizzazione, il pubblico e la società. In un capitolo successivo del libro, Shannon e Tiffany Derville Gallicano, la quale ha conseguito anche il dottorato presso l’Università del Maryland, hanno esaminato entrambe le teorie, teleologica e deontologica, e ne hanno tratto un diagramma decisionale di facile comprensione per i professionisti delle relazioni pubbliche , da utilizzare seguendo uno o entrambi questi approcci filosofici. Quel capitolo è anche disponibile su ResearchGate.
Poi, vi è la questione sull’esistenza di esempi empirici di organizzazioni che utilizzano questi principi etici, o principi simili sviluppati da altri studiosi. Nello studio Excellence (vedi Excellent Public Relations and Effective Organizations, 1992), abbiamo scoperto che l’etica era una parte integrante delle azioni del dipartimento delle relazioni pubbliche nelle organizzazioni più efficaci, e abbiamo trovato degli esempi di relazioni pubbliche etiche nei risultati del nostro sondaggio oltre che in 25 casi di studio. Siamo arrivati alla conclusione che l’etica era un principio per eccellenza nelle relazioni pubbliche. Nella sua tesi di laurea, Bowen ha condotto dei casi di studio approfonditi su due organizzazioni molto etiche e ha constatato che queste avevano applicato i suoi principi. Da quel momento, ha svolto parecchi studi su organizzazioni etiche, studi che possono essere trovati in numerosi articoli sulla sua home page di ResearchGate.
Questi sono solo alcuni esempi di studio empirico sull’etica delle relazioni pubbliche . Ce ne sono altri, condotti da altri studiosi. In breve, credo che ci siano numerosi esempi di ricerca che mostrano come i professionisti delle relazioni pubbliche  hanno messo in pratica i principi etici.

Molti professionisti si lamentano della reputazione delle PR, ma allo stesso tempo vediamo una certa resistenza a ulteriori tentativi di professionalizzazione che potrebbero risolvere questo problema di reputazione. Come spiegherebbe questa resistenza?

In larga misura, il comportamento umano è abitudinario. Il filosofo americano John Dewey ha descritto il ruolo dell’abitudine nel suo libro Human Nature and Conduct, pubblicato nel 1932. Questo è stato uno dei tanti libri di Dewey che ho utilizzato durante la mia carriera di ricercatore, anche nello sviluppo della mia teoria situazionale del pubblico. Secondo Dewey, le persone prendono occasionalmente decisioni autentiche su cosa fare in una situazione, ma in genere fanno ripetutamente ciò che sono in grado di fare e cosa ha funzionato per loro in passato.
Le persone che operano nelle relazioni pubbliche non fanno eccezione. Molti hanno imparato a lavorare nelle relazioni pubbliche  da un mentore o attraverso prove ed errori, invece che attraverso un’educazione formale; e molti di essi si sono sentiti a loro agio nel proprio lavoro. Di conseguenza, essi continuano a fornire gli stessi consigli e tecniche di relazioni pubbliche anno dopo anno, a cliente dopo cliente. Riescono ad agire in questo modo perché i datori di lavoro e i clienti continuano a richiedere questi servizi. Finché c’è una domanda, continuerà a esserci un’offerta. Quando le persone al di fuori di questo ciclo domanda-offerta (come giornalisti o membri del pubblico) osservano le relazioni pubbliche, non gradiscono ciò che vedono. Infatti, vedono organizzazioni che provano a usare le relazioni pubbliche per camuffare comportamenti irresponsabili e non etici, e vedono le persone che lavorano nelle relazioni pubbliche  che sono disposte a fare questo tipo di attività. Di conseguenza, le RP hanno una cattiva reputazione. È molto difficile uscire da questo circolo con un tipo diverso di relazioni pubbliche, ad esempio facendo quello che io chiamo “comunicazione strategica” e “comunicazione simmetrica”. Come mi chiese una volta un critico dubbioso: “Qualcuno pratica davvero le relazioni pubbliche in questo modo?”.
Io credo che il miglior modo per uscire da questo ciclo di domanda-offerta sia attraverso la ricerca. In primo luogo, la ricerca sulla misurazione: le più comuni, e spesso immorali pratiche, generalmente mostrano che queste non funzionano. Tuttavia, i professionisti di relazioni pubbliche tendono a utilizzare tale ricerca in modo selettivo. Scelgono solo i dati che mostrano che quello che stanno facendo è efficace (ad esempio le hits o le impressions sui media) e nascondono i dati che mostrano che ciò che fanno è inefficace. Nonostante ciò, molti datori di lavoro e clienti non vengono più facilmente ingannati. Vogliono la prova che le relazioni pubbliche hanno valore per un’organizzazione, e i più saggi vogliono anche la prova che le relazioni pubbliche creino valore per gli stakeholders e la società. Tali prove richiedono un insieme diverso di metriche, come gli indicatori di relazione. E, per aggiungere valore, richiedono una serie di approcci e tecniche di relazioni pubbliche diversi. Pertanto, il secondo tipo di ricerca ha natura più accademica e teorica, come la ricerca che io e i miei colleghi abbiamo svolto nellostudio Excellence e in molti studi sulle relazioni tra organizzazione e pubblico condotti in tutto il mondo.
Per migliorare la reputazione della disciplina, quindi, le persone che lavorano nelle relazioni pubbliche devono rompere le loro abitudini. È necessario che studino la ricerca di base sulle relazioni pubbliche e il loro valore, e devono spiegarla ai datori di lavoro e ai clienti che potrebbero richiedere un modo semplicistico di nascondere i loro comportamenti irresponsabili e non etici (o potenziali comportamenti del genere). Hanno quindi bisogno di fare ricerche valutative sul loro lavoro per mostrare ai datori di lavoro e ai clienti che un approccio più responsabile funziona bene per le organizzazioni, il pubblico e la società; e, se necessario, dovrebbero rivedere le loro attività di relazioni pubbliche nel momento in cui la valutazione mostra che non funzionano. Si spera che questo tipo di interazione tra i professionisti di relazioni pubbliche e i loro clienti crei un nuovo ciclo di domanda-offerta in cui le relazioni pubbliche diventino una professione responsabile con una buona reputazione.

Mentre le associazioni di professionisti invitano i professionisti delle relazioni pubbliche a “dire la verità” e “aderire ai più elevati standard di accuratezza e verità”, in pratica la verità è spesso sfuggente, essendo influenzata da prospettiva, completezza delle informazioni, interpretazione e percezione. Come possiamo mettere in pratica in modo migliore il concetto di verità nella pratica delle relazioni pubbliche?

La questione su cosa sia la verità, o quali siano i fatti oggettivi, è stata discussa dai filosofi della scienza per molti anni ed è stata discussa da studiosi modernisti e post-modernisti in molte discipline. È stato anche oggetto di ricerca in psicologia. L’opinione diffusa ritiene che la verità sia influenzata da presupposizioni, o quello che viene anche chiamato quadro concettuale, visione del mondo o mentalità. Come disse un filosofo della scienza, Eugene Meehan, nel 1968: “La realtà non si trova davanti all’osservatore, immutabile. Quale sia la realtà dipende dal quadro concettuale attraverso cui vengono proiettate le percezioni”.
La scuola di pensiero che un tempo dominava la filosofia della scienza era chiamata “positivismo logico”. Coloro i quali sostenevano questo punto di vista credevano che ci fosse un ordine in natura in attesa di essere osservato. I fatti, o la verità, sono al di fuori di noi e immutabili, se solo potessimo trovare un modo per controllare le nostre idee presupposte per osservarli. Comunque, se usato in modo appropriato, il metodo scientifico ci permetterebbe di osservare empiricamente la realtà e usarla per verificare l’accuratezza delle nostre idee o delle teorie che usiamo per comprendere e spiegare la realtà.
Il positivismo logico è crollato dopo che Thomas Kuhn ha scritto il suo libro The Structure of Scientific Revolutions, nel 1970. Kuhn ha introdotto una visione soggettiva della scienza, in cui afferma che i fatti oggettivi non possono essere utilizzati per testare una teoria contro un’altra, perché il quadro concettuale generale di ogni gruppo di scienziati, che lui chiama paradigma, predetermina quali fatti osservare o quali esperimenti condurre. Nelle sue parole, le idee contrastanti sono “incommensurabili” e non possono essere testate l’una contro l’altra perché ogni paradigma osserva dati diversi. Uno dei miei mentori quando ero uno studente di dottorato all’Università di Wisconsin, Richard Carter, spiegò che la questione era se “l’ordine” fosse lo stato naturale dell’universo, se solo potessimo osservarlo. Invece, Carter disse che lo stato naturale dell’universo è il disordine e l’unico ordine esistente è quello fornito dagli esseri umani che usano le loro idee e teorie per interpretarlo.

Le idee di Kuhn sono state ampiamente contestate da altri filosofi della scienza che hanno sviluppato un approccio più centrale, una via di mezzo. Loro credevano che i quadri concettuali teorici potessero essere valutati verificando la chiarezza concettuale delle teorie e confrontando il numero di problemi che quadri concettuali contrastanti erano in grado di risolvere. Per fare ciò, tuttavia, uno scienziato deve essere in grado di riconoscere la propria struttura concettuale, o serie di presupposti, ed essere in grado di confrontarlo con quadri concettuali contrastanti. Chi è interessato può trovare degli approfondimenti sul mio pensiero riguardo la filosofia della scienza e delle relazioni pubbliche in questo capitolo del libro.

Uno dei miei ex dottorandi, Jeong-Nam Kim, adesso all’Università di Oklahoma, recentemente ha descritto due modi attraverso cui le persone risolvono i problemi: ragionamento progressivo e pensiero regressivo.

La risoluzione progressiva dei problemi raccoglie prima le prove (o i fatti) disponibili e dopo le usa per determinare una conclusione ragionevole. Al contrario, la risoluzione dei problemi regressiva utilizza le prove disponibili per supportare una conclusione predeterminata. La maggior parte delle persone non ha il tempo o la motivazione per esaminare tutti i fatti in una nuova situazione e arrivare a una ragionevole conclusione. Invece, fa affidamento su quello che Dewey avrebbe chiamato “comportamento abituale”. Le persone, quindi, spesso usano ciò che già conoscono e comprendono per risolvere i nuovi problemi che incontrano. Come ha spiegato Jeong-Nam: “Quando noi usiamo il pensiero regressivo filtriamo le informazioni che vanno contro la conclusione che abbiamo predeterminato, a favore delle informazioni che invece la supportano. Otteniamo più fiducia da ogni prova a supporto della nostra soluzione rispetto a quella che perdiamo a causa di ogni prova che va contro quella soluzione”.
In scienza il pensiero regressivo è stato chiamato bias di conferma, vale a dire che i ricercatori hanno più probabilità di osservare e riportare dati che confermano le loro teorie rispetto a dati che invece le falsificano.
Jeong-Nam ha chiamato la tendenza alla risoluzione regressiva dei problemi “arresto cognitivo” e ha usato il concetto per spiegare il diffuso pensiero cospiratorio che ha raggiunto livelli epidemici sui social media. Jeong-Nam non offre soluzioni semplici a questi problemi, così come non lo hanno fatto i filosofi della scienza. Nelle sue parole: “Questa ricerca [psicologica] non offre una risposta facile alla questione. È chiaro che aumentare le informazioni ha fatto poco per affrontarla. Ciò che può essere più importante è l’enfasi sul ragionamento cosciente, fruttuoso e l’attenzione a una comunicazione trasparente e intenzionale. Né le prove né le argomentazioni sembrano efficaci a ridurre l’arresto cognitivo, quindi dobbiamo ripensare le strategie di comunicazione tradizionali con attenzione a entrambe le direzioni del pensiero umano. Lo scambio di idee è il cuore di una società libera. L’arresto cognitivo e il pensiero cospiratorio minacciano questo scambio. È essenziale interrompere i cicli del pensiero semplice e reintegrare i pensatori cospiratori nel mercato intellettuale prima che quei pensatori o le loro idee diventino una minaccia per l’armonia intellettuale o civile.”

Cosa significa questo per un professionista di relazioni pubbliche etiche?

Innanzitutto, la verità è sempre soggettiva ed è sempre definita da strutture concettuali e soluzioni a problemi precedentemente scelte. Quindi, “dire la verità” non è una vera soluzione etica. Dobbiamo riflettere più profondamente su ciò che pensiamo e sul modo in cui pensano i nostri clienti e i membri del pubblico. In secondo luogo, i professionisti delle relazioni pubbliche non dovrebbero approfittare del pensiero regressivo e cospiratorio per mobilitare coloro che già concordano con le organizzazioni che rappresentano e ignorare chiunque altro. Essi devono sviluppare una infrastruttura comunicativa, in modo da aiutare i loro clienti a comprendere sia coloro che non sono d’accordo con ciò che l’organizzazione sta facendo, sia coloro che invece sono d’accordo, e devono contribuire a servire il pubblico e la società. Coloro che non sono d’accordo con l’organizzazione, tuttavia, possono anche essere vittime del pensiero cospiratorio, quindi le organizzazioni devono cercare di ascoltarli per capire il loro pensiero regressivo. Ancora più importante, i professionisti delle relazioni pubbliche etiche devono essere consapevoli del proprio pensiero regressivo. Se non lo sono, avranno poco da offrire ai loro clienti come consulenti.
James Evans, emerito professore di comunicazione agricola all’Università dell’Illinois, ha descritto questo ruolo come quello di un onesto mediatore e joint problem solver. Nelle sue parole questi termini descrivono “il principio senza tempo di entrare nel processo di comunicazione come un partner rispettoso con un pubblico di riferimento, invece che guardare al pubblico come obiettivo o un gruppo da manipolare per raggiungere i propri scopi”. Ecco perché mi piace considerare il “joint problem solving” un obiettivo utile per comunicare, con mediatori onesti della comunicazione come mezzi per raggiungere quell’obiettivo.

I professionisti delle RP stanno svolgendo ruoli e rappresentando identità professionali non tutti sufficientemente articolati finora nella letteratura. Il ruolo del consulente etico sembra essere un’identità ambiziosa ma problematica per molti professionisti delle relazioni pubbliche, soprattutto per quelli che non hanno accesso al consiglio di amministrazione. Che tipo di tensioni etiche associa alle diverse identità nelle relazioni pubbliche?

I professionisti delle relazioni pubbliche che non giocano alcun ruolo nei processi decisionali strategici delle organizzazioni avranno difficoltà ad assumere il ruolo di consulenti etici. I professionisti dovrebbero avere la libertà di dirigere la propria pratica professionale. In caso contrario, sono in balia di coloro che dirigono le attività, di solito alti dirigenti o clienti che pensano di sapere cosa vogliono dalle relazioni pubbliche, ma in realtà hanno una conoscenza limitata di ciò che le relazioni pubbliche possono fare per l’organizzazione, se praticate strategicamente e simmetricamente.
Il professionista che non ha accesso al top management, tuttavia, può tentare di fare ciò che Patrick Jackson, un ex leader di relazioni pubbliche negli Stati Uniti ormai deceduto, chiamava “consulenza dal basso”. Ovvero, può offrire una consulenza etica dal basso a coloro che dirigono il suo lavoro nella speranza di essere ascoltato. Se il suo consiglio non viene seguito, allora il professionista ha una decisione difficile da prendere: dovrebbe fare ciò che gli viene chiesto anche se sa che non è etico? Un’alternativa è dimettersi, ma tutti noi abbiamo bisogno di guadagnarci da vivere. Un’altra alternativa è fare ciò che gli viene detto di fare, ma far notare al datore di lavoro o al cliente che ritiene che l’attività non sia etica, e indicare quali potrebbero essere le conseguenze del comportamento non etico. Alla fine, il cliente potrebbe iniziare ad ascoltare il professionista, specialmente se le conseguenze negative previste si verificano davvero.

Ci sono poche prove che i codici etici abbiano modellato la pratica della comunicazione professionale negli ultimi decenni. Pensa che dovremmo invece focalizzarci sull’etica personale, rappresentata da onestà, trasparenza, accuratezza ed equità?

Sono stati condotti numerosi studi sui codici etici delle associazioni professionali di relazioni pubbliche. La maggior parte ha concluso che questi codici non affrontano appieno la maggior parte dei problemi etici che i professionisti delle relazioni pubbliche devono considerare. Pochissimi di questi codici affrontano il ruolo delle relazioni pubbliche come consulenza etica. Quasi tutti sono legati al modo in cui i professionisti delle relazioni pubbliche interagiscono tra loro, con i media o con i clienti.
L'etica personale è importante, ma risolve solo parzialmente i problemi etici che i professionisti affrontano. Come ho spiegato nei miei due articoli di etica che ho citato nella mia risposta alla sua seconda domanda: “I professionisti delle relazioni pubbliche affrontano una serie di decisioni etiche personali nel loro lavoro. Potrebbero essere tentati di fare insider trading, di fornire pass gratuiti per giochi o eventi sportivi ai giornalisti, di prendere o ricevere regali, o di accettare o offrire tangenti. Possono divulgare informazioni riservate a un concorrente, riempire un conto spese, falsificare un rapporto temporale, nascondere errori, mentire o riportare selettivamente i risultati di una ricerca. Le regole etiche possono aiutare i professionisti a risolvere questi problemi e i professionisti che sonopiù etici come individui generalmente forniscono una migliore consulenza etica alle loro organizzazioni. Nonostante la grande attenzione rivolta all'etica personale nella letteratura delle relazioni pubbliche, tuttavia, questi problemi, sebbene importanti, non rappresentano le questioni etiche più centrali per la professione delle relazioni pubbliche”.

In quei due articoli, ho trattato molti altri problemi etici che i professionisti delle relazioni pubbliche affrontano. Questi sono: 1)   relazioni con clienti e altri professionisti, 2) lealtà verso chi? 3) scelta di un cliente o di un'organizzazione, 4) avvocato o consulente? 5) segretezza e apertura e 6) sfide etiche dei media digitali.

Non ho qui lo spazio per spiegare le mie idee su ciascuna di queste sfide. Mi riferisco a coloro che sono interessati ai miei due articoli. Nel complesso, tuttavia, direi che l'etica personale è importante ma che da sola non basta per affrontare le sfide etiche delle relazioni pubbliche.

Come possono i professionisti delle PR essere meglio preparati in termini di comportamento etico? Cosa potrebbe portare avanti il settore delle relazioni pubbliche in termini di comportamento etico?

I professionisti delle relazioni pubbliche devono essere istruiti e informati. La conoscenza di ciò che è comportamento etico e morale non avviene senza lo studio, la ricerca e la riflessione. Spero di aver fornito alcune idee che potrebbero essere utili, nonché riferimenti pertinenti al pensiero etico e alla ricerca. La conoscenza è potere ed è il modo più probabile attraverso cui il settore può andare avanti.
Inoltre, esorto i professionisti delle relazioni pubbliche a riflettere maggiormente sul concetto di responsabilità sociale delle imprese (o CSR). Come Shannon Bowen e Tiffany Gallicano hanno scritto nel loro articolo a cui ho fatto riferimento in precedenza, le persone che lavorano nelle relazioni pubbliche troppo spesso pensano alla responsabilità sociale in termini di filantropia o progetti che hanno come oggetto le relazioni con la comunità. Ho constatato ciò anche in molti dei progetti CSR che ho giudicato ogni anno per il premio rumeno delle relazioni pubbliche. I progetti di CSR vengono eseguiti troppo spesso per ottenere copertura mediatica o migliorare "l'immagine" e la redditività dell'organizzazione. La vera responsabilità organizzativa implica la gestione della consulenza in merito a decisioni e comportamenti responsabili, non in merito alla realizzazione di progetti di CSR non correlati alle conseguenze delle decisioni e dei comportamenti organizzativi.
Sono un ammiratore di un'organizzazione chiamata la Caux Round Table, che sostiene ciò che chiama “capitalismo morale”. La Caux Round Table è stata fondata da un gruppo di società responsabili nel corso di una conferenza a Caux, in Svizzera, nel 1986. Ha lanciato una serie di principi per le attività responsabili nel 1994, principi che si possono trovare sul sito web della Round Table. Consiglio anche il libro The Road to Moral Capitalism, scritto da Stephen B. Young, direttore esecutivo della Round Table. Numerose informazioni utili sono disponibili sul sito web della Round Table, tra cui una newsletter mensile intitolata Pegasus. La Caux Round Table, così come la letteratura accademica sulla responsabilità sociale nella gestione aziendale e nelle relazioni pubbliche, può fornire una grande quantità di conoscenze di cui i professionisti delle relazioni pubbliche hanno bisogno per essere consulenti etici per le loro organizzazioni.

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