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La comunicazione e il futuro della professione

27/10/2008

Stefano Vietina - responsabile relazioni esterne dell’Università degli Studi di Padova e autore del libro “L’avventura della comunicazione. Storie professionali e pre-visioni” - si è raccontato in un’appassionata intervista in cui ha spiegato, inoltre, la sua ricetta per guardare con ottimismo al futuro delle professioni della comunicazione.

L’avventura della comunicazione. Storie professionali e pre-visioni è un racconto di storie professionali vissute, con lo sguardo rivolto al futuro. Tanti gli argomenti trattati e tante le firme di chi ha curato questo libro.


Per tutti il racconto della propria esperienza e una pre-visione, per una panoramica volutamente rapida, ma al tempo stesso varia, dell’evoluzione della comunicazione negli ultimi venti anni.


Nell’ambito della comunicazione: il Vice Presidente FERPI Giampietro Vecchiato che scrive di relazioni pubbliche e Mario Rodriguez che parla di comunicazione politica; tra gli altri Alessandro Di Paolo, Andrea Kerbaker, Roberto Fioretto, Giuseppe Cogliolo e Federico Sartor. Nel campo dell’informazione giornalistica: Giampiero Gramaglia, Francesco Jori, Andrea Camporese, Daniele Manca e Nicola Saldutti. Per l’ampio spazio dedicato alle nuove tecnologie: Luca De Biase, Antonio Sofi, Matteo Bittanti e Michele Carignani e per la comunicazione nell’architettura con Michele De Lucchi. Il libro si apre con una introduzione di Roberto Siagri e si chiude con Giancarlo Zizola.



di Martina Girolimetto


Lei si occupa da molto tempo di gestione delle relazioni coi media: prima dell’attuale incarico all’Università di Padova è stato responsabile ufficio stampa della casa editrice padovana Piccin, e soprattutto di Banca Popolare Veneta, in seguito divenuta Antonveneta. Ha però esordito come giornalista al Tirreno, collaborando in seguito con La Nazione e Il Gazzettino. Cosa ricorda di quegli anni?


Anzitutto che ho iniziato al Tirreno inviando un articolo al direttore, ricordo ancora la data di pubblicazione, il 20 marzo 1981, e lo stesso ho fatto in seguito, per ottenere la collaborazione al Gazzettino. Ho sempre pensato che nel giornalismo, così come in qualunque professione, ci sia bisogno di mostrare quello che si è capaci di fare, e quale miglior biglietto da visita di far parlare un articolo prima che il curriculum? Non credo alle scorciatoie. C’è sempre spazio per l’intraprendenza, e questo vale oggi come allora. Non si può dire che, soprattutto agli inizi, la mole di lavoro sia proporzionata ai guadagni, ma ti permette comunque di accumulare esperienze, di costruire reti di relazioni che rappresentano un vero e proprio patrimonio nel tempo.



Sono state tante le firme e gli argomenti trattati nel suo ultimo libro L’avventura della comunicazione. Storie professionali e pre-visioni. Non “un saggio sulla comunicazione”, ha più volte dichiarato, ma “un racconto di storie professionali vissute, con lo sguardo rivolto al futuro”. Ma come sono nate queste collaborazioni, e quali contributi sono stati per Lei più stimolanti, se possibile più arricchenti?


Mi sono rivolto ad amici e colleghi che conoscevo, ma anche a professionisti di cui avevo letto e che mi sembravano poter dire qualcosa di interessante per il progetto che avevo in testa. Ciascuno ha contribuito con la propria esperienza a definire concretamente le varie specialità della comunicazione, da quelle più classiche che vanno dalla pubblicità, al marketing e alle pubbliche relazioni, a quelle più innovative, rese possibili dalle nuove tecnologie. I temi sono tutti appassionanti, almeno per me; mi hanno maggiormente incuriosito quelli che non conoscevo o non ero solito trattare. Il capitolo scritto da Matteo Bittanti sulle modalità interattive introdotte dal videogioco, ad esempio, tratta un tema fortemente innovativo e poco indagato in Italia. Se si pensa che Bittanti se ne occupa a livello di ricerca universitaria, a San Francisco, si comprende come anche questo strumento sia oggi considerato un vero mezzo di comunicazione.


Michele Carignani, poi, un cosiddetto “nativo digitale” diciannovenne, ha messo in luce la dimensione emotiva della comunicazione giovanile, interpretando i sentimenti, i valori e i progetti della sua generazione. È inoltre molto interessante il capitolo di Michele De Lucchi, che riflette sull’impatto comunicativo dell’opera architettonica: il monumento o la costruzione considerati non solo dal punto di vista funzionale, ma da quello emotivo che li accompagna… come dire, ci sono mille modi per costruire quel contenitore, ma ne scelgo uno che esprima un particolare contenuto, che si proponga a chi lo guarda suscitando emozioni e anche interrogativi, proprio come potrebbe fare la vista di un quadro in un museo.



I contributi del Suo libro sembrano accomunati da un’importante sottolineatura: la consapevolezza della crescente complessità del contesto in cui la comunicazione si trova a operare oggi. I nuovi media hanno introdotto nuove potenzialità partecipative e legittimato l’ingresso di un numero crescente di attori nei processi comunicativi, modificando la geografia delle fonti da cui proviene l’informazione. A suo parere quali sono i principali rischi da contenere in questa evoluzione dell’informazione e della comunicazione?


I nuovi media, soprattutto internet, hanno modificato il modo di produrre e definire i contenuti dell’informazione e della comunicazione. Si tratta di un processo inarrestabile, non privo di importanti risvolti positivi in termini “democratici”, perché permette a tutti un acceso indifferenziato alle informazioni e alla rete, si pensi solo al fenomeno di facebook. Certo le nuove tecnologie possono aiutare a orientarsi nella complessità, ma presentano anche dei rischi, poiché permettono a tutti di trattare l’informazione senza disporre a volte degli strumenti deontologici corretti per farlo. Questo impone, a mio avviso, la necessità di un aumento dell’impegno dei professionisti della comunicazione per rivendicare il proprio ruolo e un appello al senso di responsabilità e all’etica che devono contraddistinguere la produzione di informazione e di comunicazione di qualità.


Il mio consiglio per chi vuole fare comunicazione è di dotarsi del più ampio numero di strumenti e di costruirsi una propria mappa di diverse fonti, da cui attingere e confrontare le informazioni, di cercare di formarsi un’idea solo dopo aver sentito diverse campane. Spetta a noi sfruttare le potenzialità che i mezzi di comunicazione ci mettono a disposizione per sviluppare una conoscenza critica dei fatti. Internet in questo senso va considerata una risorsa positiva: molto più della televisione, permette infatti di approfondire i contenuti, perché possiamo autogestire la ricerca delle informazioni. L’importante è saper andare oltre al primo impatto generato dalle notizie, cercando di comprenderle e valutarle criticamente.



Si è recentemente concluso il congresso annuale Euprera a Milano, uno degli appuntamenti internazionali di riferimento per professionisti e studiosi di Rp. Quest’anno è stato affrontato il tema della crescente necessità di istituzionalizzare le Relazioni pubbliche e la comunicazione di impresa. Le Relazioni pubbliche non possono più essere considerate un semplice strumento di supporto alle attività aziendali; sempre più esse si configurano come una vera e propria componente strutturale di imprese e organizzazioni, da innestare nei processi gestionali con ruolo di consulenza per le altre funzioni aziendali.


Promuoverne l’istituzionalizzazione potrebbe, oltre a meglio definire una seria deontologia professionale degli operatori, dare un segnale forte a imprese e organizzazioni valorizzando il potenziale di una comunicazione spesso ancora sottostimata nella propria funzione strategica?


Su questo tema penso di potermi riallacciare a quanto ho detto prima, ovvero che si sente sempre più la necessità di professionisti che sappiano operare con maturità critica. Se questo nel settore delle relazioni pubbliche può avvenire attraverso una “istituzionalizzazione”, che ponga con forza il tema della deontologia professionale, e quindi del rispetto sostanziale dei diritti del cittadino-utente, allora ritengo possa essere un passo importante. Ecco, metterei al centro della riflessione da un lato la professionalità e dall’altro il rispetto profondo dell’interlocutore e la trasparenza del messaggio.



Non di rado le aziende lamentano l’inadeguatezza dei corsi di laurea in comunicazione d’impresa e in relazioni pubbliche; secondo Lei che tipo di interventi possono essere messi in atto per adeguare maggiormente l’offerta formativa alle aspettative del mondo del lavoro?


È sicuramente necessario avvicinare ancora di più le imprese all’Università, e un passo importante è stato compiuto chiamando alcuni professionisti ed esperti alla docenza di alcuni corsi: ne abbiamo un buon esempio anche a Padova. Credo che si debba soprattutto tener conto della grande velocità con la quale il mercato si evolve oggi, ridisegnando in poco tempo scenari che fino a dieci, quindici anni fa erano pressoché immutati da anni. Si impone dunque per tutti la flessibilità.


Il gap generazionale che viviamo oggi rende a volte complessa la comprensione reciproca tra i docenti, professionisti e giovani che si affacciano ora alla professione, discorso che ovviamente vale per molte professioni, non solo per quelle legate alla comunicazione. Solo se i professori ed i professionisti sono disposti ad affrontare questi nuovi scenari, a comprenderli e a rapportarsi ad essi di conseguenza sarà possibile trovare un migliore raccordo tra formazione e lavoro. In questo senso i professionisti possono rappresentare l’opportuno anello di congiunzione. Mi sembra ci si stia lavorando con impegno.
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