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La cultura come motore di un nuovo sviluppo

22/11/2012

Il “brand Italia” perde posizioni sullo scenario internazionale in fatto di offerta e attrattività culturale. Il grido d’allarme lanciato dal Gruppo Sole 24 Ore, promotore degli _Stati Generali della Cultura,_ con la partecipazione del Presidente della Repubblica. Il ruolo fondamentale delle Relazioni pubbliche. L’analisi di _Elisa Greco,_ delegato Ferpi Cultura.

di Elisa Greco
Occorre riscoprire la centralità della cultura come motore dello sviluppo economico-sociale del Paese e come fonte di crescita personale per tutti i cittadini: un investimento a 360 gradi, dalla scuola all’università, dalla tutela dei beni culturali all’innovazione scientifica e, soprattutto, occorrono proposte concrete per cambiare rapidamente rotta.
Questo il messaggio forte, suggellato dall’intervento del Presidente della Repubblica, che viene dagli Stati Generali della Cultura, tenuti a Roma il 15 novembre scorso. L’assise, promossa da Gruppo Sole 24 Ore, Accademia Nazionale dei Lincei, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, aperta con l’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha registrato anche i contributi dei Ministri Francesco Profumo (Istruzione), Lorenzo Ornaghi (Cultura), Fabrizio Barca (Coesione Territoriale) e Corrado Passera (Sviluppo Economico) oltre che autorevoli esponenti del mondo delle istituzioni, della cultura e dell’economia. Evento che ha suscitato grande interesse e attenzione e notevole affluenza di pubblico con una partecipazione molto attiva anche grazie alla diretta web oltre che nel racconto in live twitting con l’hashtag #SGCultura12.
Quella che è emersa dalla giornata di confronti e dibattiti, anche accesi, è un Italia «che vive sulle spalle di un grande passato».
L’effetto più recente di questa situazione è che il ‘brand Italia’ perde competitività a livello internazionale: in altre parole la filiera culturale italiana estesa non riesce a produrre abbastanza valore perché soffre, soprattutto nei settori chiave dell’industria culturale, di una bassissima capacità di penetrazione sui mercati internazionali, e ciò finisce per influenzare negativamente la competitività dell’intero sistema del Made in Italy.
La situazione si riflette in modo evidente nell’indice di attrattività culturale elaborato dal Sole 24 Ore a partire dai database Google-Harvard e Google Trends che permette di misurare quanto il ‘brand’ di un Paese, nel nostro caso l’Italia, sia associato a livello globale, rispetto ai principali paesi concorrenti, ai principali settori di produzione culturale e creativa e ai relativi attributi di valore. I dati mostrano chiaramente come, su scala secolare, l’Italia abbia perso quote significative di capacità di influenza in tutti i principali settori della produzione culturale, tanto industriale che non, mantenendo in qualche modo le posizioni nei settori simbolo della sfera creativa come il design e la moda e mostrando un unico vero caso di influenza crescente nel settore del food. Il nostro Paese, negli ultimi decenni ha dilapidato, e continua a dilapidare, una rendita di posizione storica che si assottiglia sempre di più in quanto diventiamo sempre meno capaci di rendere visibili e attraenti a livello globale i nostri contenuti culturali, e di trasmetterli efficacemente alle catene del valore dei settori di eccellenza del Made in Italy.
Tuttavia la filiera dell’industria culturale e creativa vale il 5,4% del Pil, ma in una sua accezione più ampia arriva al 15% secondo un’analisi tecnico-economica accompagnata da una proposta concreta che si articola in quattro punti:

richiesta di un impegno a garantire un più facile accesso al credito per lo sviluppo dell’imprenditorialità creativa
costituzione di un’agenzia per l’esportazione della produzione creativa italiana
chiara strategia di valorizzazione globale dei brand culturali italiani
maggiore capacità di integrare la produzione creativa nel manifatturiero di qualità

Queste le quattro proposte concrete avanzate dal Gruppo Sole 24 ORE per il rilancio del Paese dopo l’analisi messa a punto con Indice24 della cultura. Il nuovo strumento che il quotidiano diretto da Roberto Napoletano rinnoverà ogni anno per dare precise indicazioni economiche sul quadro competitivo globale e sulle possibilità concrete di sviluppo senza fondi pubblici dell’industria culturale italiana.

Cos’è Indice24
In che misura la povertà della crescita italiana dipende dalla scarsa attenzione a quel segmento dell’economia – l’industria culturale – troppo spesso considerato come il parente povero dei settori economici? E’ per rispondere a questa domanda che Il Sole 24 ORE ha costruito un indice di ‘interesse per la cultura’ e lo ha correlato all’andamento dell’economia.
La correlazione c’è e ha un’implicazione sorprendente. Un euro in più speso per la cultura cancella la connotazione di sussidio e si rivela un investimento. Tanto più che le spese per la cultura, essendo rivolte a persone ad attrezzature stabilmente insediate nella penisola, presentano una minor “fuga” di importazioni ed esercitano quindi anche un maggior effetto moltiplicativo. E oltre all’effetto diretto sulla domanda vi è anche il cruciale impatto – indiretto ma reale – sulla immagine dell’Italia nel mondo.
Più in dettaglio, in Italia, secondo le elaborazioni condotte dal Sole 24 Ore sulla base dei dati raccolti dalla recente ricerca di Unioncamere e Fondazione Symbola (2012), il sistema delle industrie culturali e creative in senso stretto vale, sul 2011, il 5,4% del Pil. Considerando invece una definizione estensiva del sistema delle filiere culturali e creative si arriva, sempre su dati 2011, a un peso pari al 15% del Pil.
Il settore creativo è tipicamente più orientato al mercato e quindi ha una maggiore capacità di creare valore rispetto al settore culturale non industriale e alla stessa industria culturale, e quindi il flusso di trasferimento dei contenuti dalla sfera culturale a quella creativa definisce una sorta di “effetto moltiplicatore” che è tanto più forte quanto maggiore è la produzione di valore del settore creativo a parità di valore prodotto dal settore culturale. Definendo allora moltiplicatore culturale il rapporto tra la quota del Pil prodotta dall’industria culturale e quella prodotta dall’industria creativa, il fatturato dell’industria culturale vale circa il 2,51% del Pil, mentre quello dell’industria creativa il 2,54%: se ne deduce che il moltiplicatore culturale è all’incirca pari a uno, ovvero per ogni euro di fatturato prodotto dall’industria culturale si generano contenuti che contribuiscono a produrre un ulteriore euro di fatturato nell’industria creativa. Considerando poi il rapporto tra settore culturale e creativo nel suo complesso e filiera estesa della creatività, si può introdurre un ulteriore, analogo indicatore “moltiplicatore creativo”, vale a dire quanto ogni euro di valore aggiunto prodotto nella sfera culturale e creativa vera e propria contribuisce a generare a sua volta sotto forma di valore aggiunto indotto nelle sfere produttive ad alta intensità di input culturale. Nel caso dell’Italia, ai dati 2011, il moltiplicatore creativo è pari a 2,77: per ogni euro fatturato dalle industrie creative, i contenuti da esse prodotti contribuiscono a generare un ulteriore fatturato indotto di 2,77 euro in media.
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