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La favola delle Rp on line

04/10/2011

C’era una volta un mondo che ormai sembra non esistere più: quello dei blogger liberi, svincolati dalle aziende e dai loro addetti stampa. Sempre più i blogger vanno invece ad essere omologati a tutto il resto dell’informazione e trattati senza più cercare di costruire alcun genere di relazione. L’opinione di _Gianluca Diegoli._

di Gianluca Diegoli
C’era una volta un mondo in cui i blogger scrivevano per passione, si incontravano tra di loro come carbonari, si lamentavano per la poca considerazione che arrivava dal mondo delle aziende. Poi qualche imprenditore illuminato pensò che fare provare prodotti poteva essere un modo per aprire un ponte con loro, per fare amicizia. Si incontrava direttamente con loro, parlava con loro, era quasi uno di loro. Altri pensarono di invitarli agli eventi, assieme a quegli esosi dei giornalisti che non si accontentavano mai dei regali aziendali, e invece questi erano contenti anche solo di essere invitati, se c’erano due robe da mangiare, anche meglio. Se c’erano magliette cinesi e spillette da 0,50 cent, un trionfo. Ed erano anche più simpatici e alla mano. Qualcuno pensò anche di metterli a parlare in similTED italiani, farli sentire dei veri maitre a penser dal basso. Altri di sponsorizzare la grande festona del blogger italiano. Insomma per l’azienda finire online con link, citazioni e tutto il resto era piuttosto semplice, bastava un po’ di sincerità nell’approccio e voglia di dialogare. Ma non tutte le aziende erano attrezzate o abbastanza flessibili per farlo in prima persona: nacquero le prime agenzie di digital internet PR, costituite dagli stessi blogger che volevano cambiare il modo di comunicare delle aziende. Erano artigianali, nel senso buono del termine, ci si conosceva tutti. Il loro modello di business era semplice: l’invito aziendale ai blogger arrivava non dall’azienda sconosciuta, ma dall’agenzia in cui lavoravano alcuni dei blogger che avevi conosciuto ai barcamp e alle riunioni spontanee anni prima. Ci si andava per trovarsi come una volta, ma stavolta il conto lo pagava l’azienda sponsor, ed era ancora meglio. L’azienda si accontentava di poco, di un link, di un tweet, di una foto su Flickr. L’agenzia aveva un bel business, si lavorava con gli amici, si cambiava il mondo e c’era pure qualcuno che ti pagava per questo. Poi arrivò l’industrializzazione: i blogger erano diventati semplici campi del database, più o meno curati, più o meno “targetizzati”. Le agenzie sempre più grosse diventavano impersonali come le aziende per cui devono lavorare, gli inviti assomigliavano sempre più ai comunicati stampa, i post di ringraziamento sembravano Adsense, la distribuzione dei prodotti in regalo erano sempre più simili agli aiuti umanitari buttati dagli elicotteri dell’ONU, le presentazioni diventavano sempre più uguali alle vendite del Bimby o del Tupperware. La personalizzazione coincideva ormai con la stampa unione. Le digital internet PR erano finalmente state normalizzate, erano diventate come le tanto vituperate vecchie PR. E ottenevano, più o meno, gli stessi risultati.
Tratto da Minimarketing

Leggi la riflessione di Daniele Chieffi sul post di Gianluca Diegoli.
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