Savio De Marco
Certe città non si visitano. Si attraversano, si ascoltano, si respirano.
Napoli è una di quelle città che, se glielo permetti, non ti si mostra: ti entra dentro. Non si concede a chi la guarda con occhi da turista, ma solo a chi ha voglia di rallentare e accogliere tutto quello che ha da dire.
Per questo la visita che abbiamo fatto come soci FERPI durante l’assemblea nazionale dell’11 e 12 luglio non è stata una passeggiata: è stata un’esperienza trasformativa.
Grazie all’associazione culturale Passioni di Napoli, abbiamo vissuto un percorso di riscoperta urbana e personale. Un’immersione nella Napoli che non ti aspetti, fatta di voci, respiri e contraddizioni, che ci ha portati lontano dai soliti itinerari per condurci nel cuore pulsante della città.
Potevamo scegliere il percorso più lineare e prevedibile: via Toledo, la Galleria, piazza del Plebiscito, il lungomare.
Invece abbiamo scelto di perderci — o meglio, di ritrovarci — nei Quartieri Spagnoli.
Una deviazione consapevole, che ci ha fatto incontrare una città in verticale, vibrante e piena di senso. Una città che parla attraverso i suoi muri, i suoi vicoli, i suoi volti. Una città che vive nel suono del dialetto e nelle espressioni che si tramandano da generazioni.
A condurci non è stata una guida qualunque, ma un’interprete appassionata dell’anima partenopea. Non solo parole, ma performance: un racconto fatto di poesia e teatralità, che ha intrecciato la storia dei luoghi alle parole di Raffaele Viviani, Eduardo, Totò. Monologhi recitati nei vicoli, con naturalezza e verità, capaci di toccare anche chi napoletano non è.
Perché Napoli, quando parla, sa farsi capire da chiunque. E soprattutto sa farsi sentire. I Quartieri Spagnoli, oggi al centro di un nuovo protagonismo cittadino grazie anche al murales di Maradona e ai flussi turistici più consapevoli, ci hanno mostrato il volto autentico di Napoli. Non quello folkloristico, ma quello resistente, poetico, fiero.
Abbiamo camminato tra strade strette e cieli larghi, tra sacro e profano, tra silenzi inaspettati e risate che nascono da un balcone.
Poi, il percorso ci ha riportati al centro, tra la magnificenza della Galleria Umberto I, il maestoso Teatro San Carlo e l’eleganza senza tempo di piazza del Plebiscito. Ma anche lì, Napoli ci ha stupiti di nuovo. Invece di proseguire verso il lungomare, abbiamo imboccato la salita verso Monte Echia. Una scelta inusuale e poetica, che ci ha condotti alla radice più alta della città per scendere, poi, verso la vetta comunicativa del capoluogo: il mare.
Una discesa lenta, contemplativa, che sembrava fatta apposta per riflettere. Il paesaggio cambiava a ogni passo, ma ciò che restava era la sensazione di essere parte di una narrazione viva, mai statica.
Quella camminata ci ha ricordato, come comunicatori, quanto sia importante lasciarsi ispirare dai contesti.
Ma ancora di più ci ha insegnato che certi luoghi, se ascoltati davvero, ci restituiscono qualcosa di essenziale: una direzione nuova, uno sguardo più profondo, una voce interiore che spesso dimentichiamo nella frenesia quotidiana.
Napoli, in quelle ore, non ci ha offerto uno spettacolo.
Ci ha offerto un incontro. Con la città, con le storie, con noi stessi
E in fondo non è questo che cerchiamo ogni giorno, anche nel nostro lavoro?
Creare ponti, leggere tra le righe, far emergere ciò che spesso resta invisibile?
La “Napoli che non ti aspetti” è quella che non ha bisogno di slogan né effetti speciali. È la città che ti accoglie senza filtri, che ti racconta storie senza chiedere il permesso, che ti invita a rallentare per sentire meglio.
È la Napoli che non si fotografa, ma si ricorda.
Quella che si attacca alla pelle e al cuore, e ti accompagna anche quando te ne vai. Per noi comunicatori è stato un momento di verità.
Un promemoria potente sul valore dell’ascolto, sulla forza della narrazione, sulla bellezza dell’imprevisto.
E allora grazie Napoli, per averci insegnato — ancora una volta — che la realtà, quando smettiamo di rincorrerla, ci viene incontro.