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La necessità di un CAO (chief attention officer) in azienda

05/02/2008

L'ultimo rapporto della Arthur W Page denuncia la necessità sempre maggiore di una buona struttura in grado di interagire con tutti i canali di comunicazione. Nasce la nuova figura del CAO, chief attention officer.

Ormai la chiamano – anche i grandi quotidiani internazionali generalisti – la "bestia nera" delle aziende: è quella delicata fase di gestione della propria immagine che va dall'anticipazione dei potenziali problemi, alla creazione di meccanismi per gestire gli stessi problemi, alla malaugurata situazione in cui la crisi sia già in stato avanzato, in cui spesso la propria reputazione è già in parte compromessa e quel che resta da fare è "solo" gettare acqua per spegnere le fiamme.
Se ne occupa anche il recente rapporto della grande delle Rp, Arthur W Page Society, "The authentic enterprise" (pdf), un libro bianco che indaga sui nuovi doveri e compiti dei board aziendali. La riflessione e lo stato dell'arte si basano su alcuni concetti sempre più condivisi (non solo dagli esperti di relazioni pubbliche): "Le aziende prima controllavano la propria identità, valori e contenuti dei loro messaggi. (…) Ma oggi le informazioni che circolano di un'azienda vengono create, scambiate e modificate da un ecosistema vasto e distribuito composto da dipendenti, clienti, partner, comunità e gruppi di interesse. (…) Oggi sta esplodendo il numero di canali di comunicazione, nel numero, nella facilità d'uso, nella disponibilità, e il risultato è che oggi tali canali appartengono a tutti". 
Difficile dunque controllarli. Ma quel che più importa è che anche i grandi Ceo se ne siano accorti. Tra i molti intervistati dai ricercatori della Arthur W Page, sono in tanti a sottolineare come vi siano potenze convergenti, che insieme formano la sfida maggiore – e la più difficile – per le loro aziende: la tecnologia (si legga soprattutto internet), l'integrazione globale, la moltiplicazione degli stakeholder, il nuovo e prepotente bisogno di trasparenza.
Dunque, per queste ragioni, evidenzia Arthur W Page e rincarano altre grandi agenzie, un ufficio stampa seppur reattivo sarà sì sempre richiesto in ogni organizzazione, ma servirà a soddisfare solo una parte dei bisogni. In un'intervista della scorsa settimana al Financial Times, un rappresentante della società di consulenza britannica Hesleden inizia a parlare di una nuova figura, quella del CAO, chief attention officer: ha la funzione di un direttore dei corporate affairs, ma in più deve saper costruire una posizione aziendale sui diritti umani, saper intessere relazioni con le associazioni non governative, con i diplomatici. E ancora, deve fare i conti con la velocità cui le notizie viaggiano, e saper dare un'interpretazione e una lettura delle scelte aziendali oltre che ai media a molti altri pubblici. Incluso quello della blogosfera, per esempio. Senza scordare di prestare attenzione alla comunicazione interna, perché, come racconta uno dei ceo intervistati per il libro bianco di Arthur W Page, "Ciò che tu comunichi all'interno può essere riportato dai media praticamente nell'immediato".
Redazione Totem – Eva Perasso
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