Thanai Bernardini
Il lockdown è stato un buon banco di prova per tutti. La sensibilità sul digitale e la voglia di saperne di più è davvero alta. La fase di riapertura dovrà essere un consolidamento per tutto quello che abbiamo vissuto, e anche i comunicatori avranno un ruolo importante in questa partita. Ne è convinto Diego Ciulli, Public Policy Manager di Google, protagonista del CafFERPI dello scorso 12 maggio.
Alzi la mano chi non ha mai sentito dire: “L’Italia accumula una serie di ritardi in ambito di digitalizzazione”. Credo nessuno di voi, anche perché tra studi di settore, media e professori, non passava giorno che qualcuno non ce lo ricordasse. Per questo motivo è stato particolarmente interessante l’intervento di Diego Ciulli, Public Policy Manager di Google, al CafFERPI del 12 maggio 2020 in cui ci ha parlato della grande opportunità che la ricostruzione offre al digitale e della necessità di professionisti capaci di accompagnare questo percorso.
Il lockdown è stato un dramma da molti punti di vista, ma per fortuna abbiamo iniziato la fase 2, quella della ricostruzione. Ed è una opportunità per tutti, per le persone, per le imprese. Più in generale per la società.
Come dovremmo ricostruire il sistema economico nazionale?
Innanzitutto, non avrebbe senso ricostruirlo così come era prima dell’inizio della pandemia. Possiamo recuperare molto del ritardo accumulato nella digitalizzazione e imparare a utilizzare al meglio le tecnologie temporanee.
Quali i principali motivi di questo ritardo italiano?
Ce ne sono molti, ma in particolare si narrava che il consumatore italiano non fosse pronto per il digitale. Credo che sia sotto gli occhi di tutto il salto quantico che è stato fatto nei soli ultimi due mesi. Abbiamo realizzato cose che in un contesto normale non sarebbero potute accadere: bambini che vanno a scuola in rete, pensionati che fanno ginnastica seguendo tutorial dai propri tablet … per non parlare del boom del commercio elettronico. Ripartirei proprio da qui, la ricostruzione è una opportunità unica per il digitale.
E per le imprese, penso in particolar modo alle PMI manifatturiere, vedi opportunità?Assolutamente. Ci sono tecnologie come il riconoscimento delle immagini, dei suoni e dei dati che si adattano facilmente ai bisogni delle imprese e possono automatizzare alcune fasi del processo manifatturiero, accrescendo la produttività. Si parla di potenziali aumenti di oltre il 10%, non è poco! Alcune aziende l’hanno già fatto con successo e così hanno deciso il reshoring di produzioni che erano state delocalizzate negli ultimi 20 anni.
Come aiutare le PMI ad aprirsi al digitale?
Il lockdown è stato un buon banco di prova. La sensibilità sul tema e la voglia di saperne di più è davvero alta. Un esempio, Google organizza diversi corsi gratuiti in rete e nel mese di aprile le iscrizioni sono aumentati di 14 volte. Credo che la fase di riapertura dovrà essere un consolidamento per tutto questo, e anche i comunicatori avranno un ruolo importante in questa partita per far abbracciare le nuove sfide e non tornare alla situazione pre-corona virus.
Secondo alcuni economisti, come effetto della pandemia, potrebbe esserci un arretramento della globalizzazione, ridando spazio a produzioni locali per i soli mercati interni. Cosa ne pensi?
Sono l’ultimo che possa esprimersi in tema di globalizzazione, vista l’azienda per cui lavoro, ma mi allaccio a quello che stavo dicendo prima. La tecnologia consente di aumentare la produttività e di ridurre la pressione sul costo del lavoro. Quindi, di aprirsi maggiormente ai mercati internazionali.
Sempre secondo alcuni economisti, le imprese dovranno abituarsi a convivere con un livello di incertezza maggiore rispetto al passato. Come fare?
Grazie ai dati. Oggi ci sono tanti strumenti, alcuni anche gratuiti, che consento di estrapolare conoscenza dai semplici dati. Nell’incertezza dovremo sviluppare una cultura del dato, che non è mai stata particolarmente popolare in Italia, e affiancarla alla nostra intuizione e creatività.
Non possiamo non parlare anche del nostro mondo, quello della comunicazione.
Nel vostro ambito, il digitale ha portato grande flessibilità. Con costi di ingresso praticamente pari a zero e con la possibilità di fare campagne in tutto il mondo direttamente da casa, la pubblicità online può essere un vero alleato per tutte le aziende che vogliono comunicare. Non solo, ma in contesti di grande instabilità e incertezza, la pubblicità digitale consente anche una totale misurabilità dell’investimento effettuato.
In tempi di disintermediazione, le aziende potranno fare a meno dei comunicatori?
Niente di più falso. È vero che non ci sono barriere all’ingresso nel web e qualcuno pensa di poter fare da solo, ma servono professionisti della comunicazione. L’economia di internet ha creato nuove professionalità che non si improvvisano e saranno indispensabili per garantire il passaggio al digitale delle aziende del Made in Italy.
In futuro nasceranno nuove figure professionali, anche nella comunicazione?
Alcune sono già nate, ma sono ancora terribilmente poche. Le imprese fanno fatica a trovare i profili di cui hanno bisogno per la loro comunicazione. Mancano professionisti come analisti del dato e statistici, capaci di costruire conoscenza partendo dai dati. È un mestiere nuovo che è sempre più richiesto. Fossi un giovane, ci penserei.
Un’ultima domanda: siamo in fase 2 e si parla di tracciare gli spostamenti e i contatti per contenere possibili contagi. Dobbiamo rinunciare alla nostra privacy?
Non è vero che bisogna rinunciare alla privacy per poter avere uno strumento di supporto alla lotta alla pandemia. Google e Apple hanno fatto un accordo storico per sviluppare tecnologie di Exposure Notification, nel rispetto della privacy degli utenti. Sarà sufficiente che la maggior parte possibile dei dati risieda nel cellulare dell’utente, e non altrove. Non ci sarà un data base che sappia cosa avete fatto, dove siete stati e chi avete incontrato. Alla base di questi progetti, infatti, c’è la tecnologia bluetooth che non è consente la cosiddetta geolocalizzazione. Detta in maniera ancora più semplice, in caso di emergenza nazionale, il cellulare del contagiato ricorderà solo i telefonini che ha avuto vicino, ma non i loro proprietari.