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Le primarie che piacciono a seconda di chi le vince

12/04/2013

L’esperienza delle primarie del centrosinistra per il sindaco di Roma ha aperto un dibattito sulla valenza di questo strumento. Le primarie sono anch’esse parte delle cause della crisi della rappresentanza? Secondo _Mario Rodriguez_ “non si può rispondere in altro modo che rafforzando le primarie, facendole diventare un momento della vita delle istituzioni democratiche, radicandole nella cultura civica degli italiani, cioè primarie per legge”.

La vittoria senza se e senza ma del senatore Marino alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Roma ha riaperto la riflessione sullo strumento. Diciamo subito che l’ha riaperto soprattutto tra coloro che non sono contenti dell’esito. Ma è giusto non considerare queste domande solo frutto di partigianeria. Mai innamorarsi degli strumenti in sé perdendo di vista quello cui dovrebbero servire.
E anche tra i sostenitori dello strumento c’è comunque da tenere presente il fatto che le primarie non hanno impedito al Pd e al centrosinistra la perdita di milioni di elettori né sono state sufficienti a invertire quel processo di discredito e di perdita di autorità degli attori politici in atto da diversi anni in modo apparentemente inarrestabile.
E allora? A che servono le primarie se non rilanciano l’autorevolezza delle leadership e se non riescono a fare emergere candidati vincenti?
La risposta a mio parere è più primarie, non meno. Certo le primarie possono essere l’attivazione dei più militanti, di coloro che attribuiscono grande importanza alla manifestazione delle loro intenzioni politiche, a coloro che si vogliono sentire protagonisti anche di piccoli gesti. E, certo, spesso questi sono i portatori di posizioni più definite, meno di mediazione. Di questo sono a conoscenza da anni gli studiosi di comunicazione politica e i conoscitori delle vicende elettorali nord americane, emblematiche le primarie di McGovern. Da noi, qui in Italia, tra gli altri, Paolo Feltrin sin dalle prime esperienze mise in guardia sul rischio che le primarie avrebbero, nelle condizioni italiane, attivato la militanza facendo così perdere quella capacità di individuare candidati di mediazione che pure il Pds aveva mostrato in molte situazioni. L’esperienza delle elezioni con il Mattarellum cioè con i collegi uninominali fu anch’essa emblematica.
Certo le primarie possono essere anche la foglia di fico della legittimazione partecipata dietro la quale agisce un’attrezzata macchina organizzativa che connette diffusi interessi di chi vive di politica. E questa è la ricorrente accusa che viene tutt’ora fatta agli apparati che sarebbero in grado di guidare eserciti di fedeli.
Allora le primarie sono anch’esse parte delle cause della crisi della rappresentanza? Ma come se ne esce? Qualcuno ha in mente un processo di legittimazione delle leadership che non preveda il coinvolgimento ampio degli elettori? Qualcuno pensa che nell’epoca della rete e delle informazioni diffuse le vecchie fedi politiche del ’900 possano tornare a costruire chiese, seminari e parrocchie? Non credo che ci siano altre strade che non l’apertura, il superamento delle forme organizzate rigide, il riconoscimento che la sovranità è detenuta dal popolo elettore e che la legittimazione delle rappresentanze politiche non può che passare da lì, appunto.
Allora ai rischi di primarie asfittiche o dominate da apparati più o meno invasivi e interessati non si può rispondere in altro modo che rafforzando le primarie, generalizzandole, facendole diventare un momento della vita delle istituzioni democratiche, radicandole insomma nella cultura civica degli italiani, cioè primarie per legge. Sostenerle – non con finanziamenti, ci mancherebbe – ma con servizi. E tra i servizi ci metterei anche le attenzioni del sistema dell’informazione.
Questo ci garantirà una maggiore qualità del personale selezionato? O una decisione più argomentata degli elettori? No di certo. queste cose non si possono chiedere ai meccanismi ma ai processi sociali e culturali. È la democrazia, bellezza.
Allora ironia e sarcasmo sulla sinistra che è sempre in ritardo di una stagione, come scrive Aldo Cazzullo sul Corriere di ieri (N.d.R. 9 aprile 2013), potrebbero lasciare spazio almeno al riconoscimento che questa sinistra e in essa quelli che preferiscono definirsi e viversi come “democratici e basta” queste primarie, seppur tra travagli e contrasti, le stanno facendo vivere e sopravvivere a dispetto di molti.
Aggiungo solo una considerazione a commento di Aldo Cazzullo: Renzi le primarie per il sindaco di Firenze le ha stravinte! E se avessimo un briciolo di fiducia in più nella saggezza delle folle e smettessimo di credere che chi non la pensa come noi è imbecille? La costruzione di quell’Italia pacificata, capace di convergere sul decisioni di buon senso, tanto desiderata dagli amici del Corriere passa anche dalla fine della demonizzazione dell’altro e in questo caso dalla demonizzazione della sinistra.
Fonte: Europa
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