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L’ennesima “bomba d’acqua” non prevista: perché il nuovo scenario climatico richiede un adattamento (urgente) della comunicazione

28/10/2019

Sergio Vazzoler

Perché a distanza di anni ci si sorprende ogni volta che ci si imbatte in un'emergenza meteorologica e ci si fa prendere in contropiede? Davvero pensiamo soltanto a sciatteria o irresponsabilità? No, purtroppo, questa risposta è forse rassicurante per chi insegue le polemiche ma non è affatto risolutiva. L’emergenza climatica non consente né scorciatoie né facili ricette e anche chi fa comunicazione è investito da questo nuovo scenario. Il commento di Sergio Vazzoler.

Nessuno si poteva aspettare una tale concentrazione di precipitazioni in così poche ore”: quante volte abbiamo ascoltato ripetere questa dichiarazione nei commenti post-alluvione degli ultimi anni? Al di là del dibattito sull’incidenza dei cambiamenti climatici, la storia recente ci dice che ormai le cosiddette “bombe d’acqua” sono la regola e non più l’eccezione, anche nel nostro Paese.Così scrivevo in un passaggio del libro “Disastri naturali, una comunicazione responsabile” pubblicato qualche anno fa da Bononia University e curato da Biagio Oppi e Stefano Martello e i cui contenuti oggi sono sviluppati nell’ambito della Carta di Rieti.

E, purtroppo, la regola si è ripresentata puntuale ieri nel basso Piemonte, dove alcuni fiumi sono cresciuti in modo tanto impetuoso quanto rapido, creando gravissimi danni e purtroppo anche un morto.

Ma perché a distanza di anni ci si sorprende ogni volta e ci si fa prendere in contropiede? Davvero pensiamo soltanto a sciatteria o irresponsabilità? No, purtroppo, questa risposta è forse rassicurante per chi insegue le polemiche ma non è affatto risolutiva.

In realtà le modalità di previsione e monitoraggio risultano oggi meno precise perché ci sono fenomeni nuovi che li rendono parziali e incompleti. Stamani ad Alessandria, dopo giorni e giorni di precipitazioni intense, c'è una temperatura quasi estiva e nuvole di zanzare. A monte questa temperatura ha caricato l'aria di elettricità, esaltata da vento di tramontana e ha fatto scoppiare la precipitazione in modo anomalo e inaspettato, cogliendo di sorpresa chi è deputato al monitoraggio. E, di conseguenza, laddove nelle ore dell’emergenza si incontrano la comunità locale con gli amministratori pubblici e le autorità preposte alla sicurezza e alle comunicazioni di allerta, cioè i social media - la comunicazione stenta, si fa complicata e spesso il dialogo appare tra sordi.  Ecco perché – e qui veniamo al punto - le misure cautelative e le war room (le unità operative per gestire le emergenze) devono adattarsi al nuovo scenario: più preparazione, più flessibilità, più reattività ai cambi di scenario repentini (come quello di stanotte) e anche più comunicazione e preparazione delle comunità a recepire i messaggi nel verso giusto. Che non vuol dire solo "prevenzione" ma anche e soprattutto diffusione di cultura del rischio proprio per essere più reattivi e consapevoli nell'interpretare quanto le autorità preposte provano a comunicare in fase di crisi e in un contesto nuovo e complesso per loro.

L’emergenza climatica non consente né scorciatoie né facili ricette e anche chi fa comunicazione è investito da questo nuovo scenario: ecco perché in questi giorni la testata più attenta da sempre in Europa a questi temi, The Guardian, ha deciso di cambiare la propria modalità di narrazione e rappresentazione visuale del climate change. Insomma, c’è tanto ancora tanto lavoro da fare, ognuno per la sua parte: noi lo faremo anche venerdì a Milano in un seminario formativo Ferpi dedicato proprio al ruolo della comunicazione nell’epoca della crisi climatica.

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