Diana Daneluz
A un anno dal precedente volume, stavolta sono i riti scomparsi a essere proposti dai due autori del libro che chiude il ciclo dei tre volumetti dedicati ai linguaggi pontifici. Ed esce in un momento in cui ciascuno di noi si è trovato immerso nella forma e sostanza di alcuni di questi riti.
Uscito per Editoriale Romani, nato dal dialogo tra i due autori, ciascuno per ragioni diverse cultore della materia, corredato da una esauriente appendice fotografica, anche il nuovo libro, “I riti scomparsi dei linguaggi pontifici”, si rivolge ad un potenziale pubblico molto variegato: giornalisti e comunicatori, diplomatici e rappresentanti di istituzioni, insegnanti e studenti, cittadini romani e italiani, curiosi di tutto il mondo.
Monsignor Stefano Sanchirico, sacerdote dal 1992, Ufficiale dell’Archivio Apostolico Vaticano, già Cerimoniere Pontificio e Prelato Chierico della Camera Apostolica, e Andrea Gagliarducci vaticanista, giornalista di EWTN e ACI Stampa, con i loro tre successivi volumetti, hanno voluto fornire una grammatica del complesso insieme di linguaggi, carichi di storia e altamente simbolici, attraverso cui la Santa Sede, quale rappresentazione e centro di irradiazione del messaggio universale di Cristo, si è espressa e si esprime. Con l’intento non dichiarato di rendere le sue azioni più comprensibili e quindi, più vicine.
Tra i diversi linguaggi pontifici, accanto a protocolli, liturgie e simboli, figurano i riti, attraverso molti dei quali la Santa Sede racconta al mondo il senso del suo esistere. Molti di essi oggi non sono più utilizzati dai Papi, sono scomparsi. Scoprire quali rappresenta nell’intenzione degli autori il modo per concludere una conversazione esaustiva su questi linguaggi. Il Concilio Vaticano II si può considerare uno spartiacque rispetto al tema dei riti scomparsi, perché è dopo il Concilio che molti riti caddero in disuso perché considerati forse non adattabili (e comprensibili) al contesto moderno. Al di là delle motivazioni che hanno portato a ridurre alcune ostentazioni o ad eliminare alcuni riti, gli autori pensano che siano elementi di storia e simbologie che vanno comunque ricordati, sempre con lo scopo di meglio comprendere la nostra storia comune.
Il libro propone quindi una carrellata dettagliata dei riti modificati (e di quelli scomparsi), da quelli legati ai riti funebri dei Papi – siamo reduci dall’aver vissuto da pochi giorni i cambiamenti che Papa Francesco ha voluto introdurre al cerimoniale per la morte del Papa –, alle incoronazioni dei Papi, scomparse (l’ultima quella di Paolo VI il 30 giugno del 1963) dopo essere state così a lungo tradizionalmente eventi di grande ricchezza e forte impatto, ai riti del concistori per la creazione dei nuovi cardinali, col racconto del prima e dopo delle riforme post conciliari, al rito dei palli e alla benedizione degli anelli, non scomparso quest’ultimo, ma profondamente innovato proprio da Papa Francesco. Una parte significativa del libro è dedicata poi ai doni dei Papi, oggetti di devozione quanto onorificenze, molti dei quali ormai caduti in disuso. Si parla qui dello stocco e del berrettone benedetti, doni per sovrani e benemeriti della Chiesa volti a ricordare simbolicamente fonte e fine del potere. O degli Agnus Dei di cera benedetti, rito scomparso tra i più suggestivi, risalente alla tradizione di spezzare e distribuire al Sabato Santo resti del vecchio cero pasquale, prima di accendere il nuovo, ai cui spezzoni si attribuivano “protezione dalle tempest4e e dai demoni”. Si parla poi dei riti della benedizione e del dono della candela e della palma benedetta, riti semplici ma di grande effetto. Quello della candela è sopravvissuto più a lungo, inviata agli ambasciatori o come atto di omaggio agli Ordini e alle Famiglie religiosi. Oggi l’usanza è ancora prevista, ma in forma privata. Ultima menzione tra i doni dei Pontefici quella del rito della benedizione delle fasce da inviare ai sovrani in occasione dei loro battesimi, celebrato con studiati momenti successivi nella sala del Concistoro o nel cappello del palazzo di residenza del pontefice. Una volta benedette, le fasce venivano affidate ad un “ablegato” perché fossero recapitate ai loro destinatari.
La versione dell’ecclesiastico
I racconti particolareggiati e non avari di particolari curiosi contenuti nel libro consentono agli autori di assecondare, attraverso queste pagine, due esigenze. La prima, di cui si è detto, di sottolineare l’utilità di conoscere riti, norme e formule che seppure vivono lo spazio culturale ed umano del loro tempo e si rivelano mutevoli nelle loro forme, ci introducono tuttavia a quello che è il linguaggio perenne della Tradizione. L’altra esigenza. La più importante, è quella di facilitare la comprensione della grandezza millenaria di una istituzione come la Santa Sede, col fine ultimo di servirla, da ecclesiastici o da laici – come spiega Monsignor Sanchirico – “con un atteggiamento di profonda umiltà”. Per farlo, dice ancora il Monsignore, “serve lo sforzo di entrare in una storia che va capita nelle sue dinamiche…mettendosi alla scuola di chi ci ha preceduti”. Trasmettere e conoscere, in particolare, riti e tradizioni scomparsi può essere un antidoto alla rottura della tradizione o comunque un invito “a considerare ogni stagione della storia una tappa verso l’eterno, a cui portare in libertà e carità il proprio contributo”.
Le ragioni del vaticanista
Il vaticanista, come lo è Andrea Gagliarducci, è prima di tutto un giornalista, naturalmente. Tuttavia, se svolge appieno il suo lavoro, a lui è imposto di dare sì la notizia, ma anche di andare oltre la notizia, per dare conto delle azioni di una istituzione millenaria e peculiare il cui linguaggio, appunto, è fatto anche di storia e simboli. Se un giornalista racconta storie, al vaticanista è richiesto anche di raccontare quello che c’è dietro le storie del presente che coinvolgono l’istituzione stessa e i suoi rappresentanti, di guardare alla Storia anche quando si sta raccontando degli incontri tra un Papa e i capi di Stato, o dell’attività della Chiesa attraverso le sue diaconie che rivela una cura dei poveri che non nasce qui ed ora. E molto altro.
A questa Storia appartengono anche i riti scomparsi, cui approcciarsi con umiltà epistemologica nella consapevolezza che tutto ha una storia, che tutto ha un significato. Che non si tratta di un semplice e potenzialmente inutile ‘guardare al passato.
Per chi crede poi, e Monsignor Sanchirico lo ha ribadito qui una volta di più, la Chiesa guarda al passato proprio perché cerca di avvicinarsi all’evento decisivo della nascita, morte e resurrezione di Gesù. Tutto, dice, è stato rivelato in quel momento. Dopo la Buona Notizia, non c’è altra notizia che sia veramente novella.
Per i laici, guardare al passato e appropriarci della nostra storia e delle nostre tradizioni, studiarlo come questo volumetto insegna a fare, aiuta a comprendere il presente, consci che molto si ripete ciclicamente, che la forma nasconde spesso la sostanza e il senso, che lo studio e l’ascolto, come pratica “umile”, danno sempre buoni frutti.
Ai comunicatori non sfugge certo poi l’importanza del linguaggio non verbale e non scritto, quello che si sostanzia anche di formule e riti, ed è doveroso per loro conoscere quello, del passato come del presente, riferito agli ambiti con i quali si rapportano.
Il libro è breve, novantatre le pagine comprese quelle che ospitano le curiose immagini a corredo. E si legge d’un fiato, come un racconto accanto al fuoco.
I riti scomparsi dei linguaggi pontifici
Con appendice fotografica
Andrea Gagliarducci, Stefano Sanchirico
Editoriale Romani, 2025
Collana: Auxilia Juridica
96 p. Brossura