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L’istinto di narrare. La comunicazione tra storie e futuro

28/04/2020

Anna Romanin

Non possiamo fare a meno di raccontare storie. Narrare ci permette di affrontare la realtà e di ripensare al futuro. Ma dobbiamo fare attenzione alle parole, base di ogni storia e pane di ogni comunicatore: è necessario sceglierle con cura e usarle al meglio. In particolare oggi, in cui ognuno sta ripensando alla propria storia. Ce lo ricorda Alessandro Barbaglia, scrittore, poeta e libraio, nel settimo appuntament con i CafFERPI di Ferpi Triveneto.

Alessandro Barbaglia, entra nei nostri schermi in questo periodo di “visi comunicanti” con il garbo con cui l’abbiamo conosciuto ad InspiringPR 2019. Allora, in dieci minuti, incantò la platea con il monologo su Leopardi, portandoci indietro nel tempo di duecento anni a riflettere sull’importanza delle parole. Tutti quel giorno ci siamo sentiti un po’ Leopardi ragazzo che zoppicando sale la collina, e con un brivido lungo la schiena abbiamo riletto l’Infinito. (Lo speech si può rivedere qui: https://youtu.be/vtlc9lKKRE0)

Il futuro si costruisce (anche) con le parole che utilizziamo

In un momento in cui la comunicazione avviene quasi esclusivamente da schermo a schermo e solo con il viso, quando non abbiamo gesti a supporto, né timbri di voce chiari o vicinanze fisiche, soppesare, misurare e scegliere le parole è ancora più importante. “Le parole sono le unità minime delle nostre storie” dice Barbaglia e ce lo ha ricordato - in uno dei primi appuntamenti CafFERPI- anche Vera Gheno, socio linguista a cui dobbiamo il copyright del nome di questi appuntamenti live.

“Le parole sono porte che conducono nel mondo dell’invisibile” ma possono diventare armi, letteralmente. Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un intensificarsi dell’uso del linguaggio militare, di parole mutuate agli scenari di guerra, anche in comunicazioni istituzionali. Termini come “combattimento” o “guerra” «portano appresso tutto il terreno di cui una parola si nutre, e non sono adatte al viaggio che vogliamo intraprendere in questo momento» ci dice Alessandro, che aggiunge come le parole siano evocazioni, formule magiche e vadano maneggiate sempre con cura.

Ri-pensare e partire da una buona cassetta degli attrezzi

Come ci si difende dalle parole bellicose? È una questione di buoni esempi. Le buone letture (e i buoni incontri) ci nutrono. Abbracciare storie, poesie, articoli, saggi, scritti, attingere al passato e al migliore presente, ci permette di avere un bagaglio di strumenti preciso e completo per la nostra comunicazione. Ci permette di avere quella che Stephen King - nella sua biografia da scrittore On writing – definisce l’immaginaria cassetta degli attrezzi da portare sempre con sé.

Oltre a pagine di buoni incontri, che fare ancora? Usare le parole, per ri-pensarci: pensarci due volte e pensarci in un modo nuovo. «La realtà è un impasto di reale e narrazione e noi - continua Alessandro - siamo le storie che raccontiamo, siamo le storie che ci tengono vivi, perchè raccontarsi è un istinto profondo. L’istinto di narrare è quel che ci rende NOI.»

Quello che stiamo vivendo è parte di noi, della nostra storia

Forse potrebbe essere utile tenere “un diario della Quarantena”, come ci ricordava l’umanista Max Bustreo qualche tempo fa, o forse basterebbe avere chiaro che questi non sono “giorni sospesi” ma “giorni nostri”, giorni cioè in cui lo scorrere del tempo ha solo cambiato ritmo ma noi siamo sempre noi, con il potere e la responsabilità di ridefinire noi stessi e il nostro futuro.

È il momento in cui da comunicatori e cittadini del mondo «abbiamo l’opportunità di contribuire a dare forma alla vita che verrà poi. Senza subirla. Di fare cose "non perché sono semplici…" come ricordava Francesca Folda, sempre in un CafFERPI, pensando al futuro che verrà.

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