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Litigation PR, strumento per evitare i processi mediatici

29/11/2017

Ada Sinigalia (*)

Sempre più spesso non sono le aule dei tribunali ad ospitare i processi ma i salotti televisivi o le pagine dei giornali. Alcuni casi sembrano generare un interesse morboso, alimentato dalla macchina dell’infotainment, in cui gli imputati diventano colpevoli prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso. In questo contesto, le Litigation PR sono tanto più utili e necessarie quanto più la verità mediatica rischia di sostituirsi alla verità giudiziaria, come afferma Ada Sinigalia, tra le autrici del volume "Litigation PR", edito da Pacini Giuridica.

 

Nelle aule dei tribunali e non nei salotti televisivi o tra le pagine dei giornali dovrebbero essere trattati i processi. Succede, invece, che alcuni casi giudiziari, specie attinenti a delitti, abbiano una risonanza mediatica tale da generare un interesse particolare, quasi ossessivo. Si parla, allora, di processo mediatico: articoli, servizi sui telegiornali, approfondimenti in programmi televisivi raccontano e analizzano un fatto di cronaca fino quasi a sezionarlo, narrandone particolari anche attraverso l’opinione di persone più o meno coinvolte. Questo genere si chiama anche infotainment, parola derivata dalla crasi tra i termini inglesi ‘‘information’’ ed ‘‘entertainment’’. Pensiamo alla spettacolarizzazione di eventi tragici, alla trasformazione di un fatto in una sorta di reality dove la stampa o l’intrattenitore del momento coinvolge parenti, amici, vicini di casa. Tutti in possesso di una verità nuova, esplosiva, in grado di risolvere il mistero. I media, specie la televisione, mettono in scena una sorta di processo parallelo a quello vero, di esaltazione e, spesso, di esasperazione delle notizie di cronaca nera. Alla già folta platea di profani – a vario titolo riconducibili, anche indirettamente, al fatto accaduto – si aggiungono, poi, i cosiddetti ‘‘esperti’’ come criminologi, psicologi, opinionisti vari, che formulano il loro parere in merito al processo e al presunto colpevole. A ciò, si aggiunge anche la cosiddetta TV del dolore che mette in scena la spettacolarizzazione dei sentimenti attraverso l’esibizione di pianti e volti affranti, oppure forme inappropriate del racconto con litigi, atteggiamenti irrispettosi ecc.

E che dire di personaggi chiave del processo, pagati profumatamente per intervenire in dibattiti e talk show? È successo, come hanno riportato i media nazionali, alla moglie di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Da intercettazioni telefoniche in carcere, è emerso che la signora Comi in Bossetti abbia ricevuto migliaia di euro per partecipare a una nota trasmissione televisiva e rilasciare interviste.

I processi mediatici sono ancora più gravi quando si sviluppano senza un vero colpevole ma alla presenza di un imputato. In quei casi, viene calpestato uno dei principi cardine del nostro diritto, cioè la presunzione di innocenza fino alla sentenza passata in giudicato. Senza dimenticare quell’influenza sottile – e spesso ingovernabile, in quanto invisibile – che identifica nella persona coinvolta non più un imputato ma un colpevole.

In questo difficile contesto, le Litigation PR sono tanto più utili e necessarie quanto più la verità mediatica rischia di sostituirsi alla verità giudiziaria, portando un danno alla reputazione e all’immagine di una persona o di un’organizzazione. Un danno che spesso diventa estremamente difficile da superare e risolvere. Basti pensare ai processi che durano anni e al proliferare di notizie offline e online che vengono generate nel tempo.

(*) Autrice del libro LITIGATION PR, Pacini Giuridica
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