Ferpi > News > L'uso strumentale delle ricerche... Con buon senso

L'uso strumentale delle ricerche... Con buon senso

29/11/2005

Editoriale di Toni Muzi Falconi

Fu nel lontano 1965, quando ero responsabile rp di 3M Italia e di Ferrania, che per la prima volta scoprii il valore delle ricerche (economiche, sociali, psicologiche, politiche) per attirare l'interesse dei giornalisti verso un tema, una questione, un fenomeno, una organizzazione, una persona. Non ricordo quanto consapevolmente (di certo non l'avevo studiato), ma capitai su una ricerca condotta da Giancarlo Trentini sulla "psicologia del fotoamatore" (Ferrania era la sola produttrice italiana di pellicole fotografiche ed era stata da pochi mesi acquistata dalla 3M ove mi occupavo di ufficio stampa), ne organizzai una presentazione pubblica e non ci fu quotidiano, settimanale, radio o tv che non riprese la questione. Da allora non ho più smesso e l'abitudine si è cominciata a diffondere in altre organizzazioni nella seconda metà degli anni settanta per poi dilagare a partire dagli anni ottanta.Sono ovvie le ragioni dell'interesse dei giornalisti: in fondo, con qualche parvenza di maggiore "scientificità", i risultati commentati di una ricerca li rileva di una parte importante del loro lavoro (la raccolta delle informazioni) e l'eventuale taglio "commerciale", purchè discreto, non li turba più di tanto. Oggi, visto che lo fanno tutti, le esigenze dei giornalisti sono diventate più raffinate, i costi delle ricerche sono molto cresciuti e gruppi di attivisti sociali e osservatori critici sono assai più attenti ai contenuti e alle modalità di realizzazione delle ricerche e di divulgazione dei risultati.L'uso strumentale delle ricerche è comunque assai diffuso nel nostro lavoro ma anche la cultura critica di questo uso è in crescita e conviene quindi, per evitare di "gettare via il bambino con l'acqua sporca", qualche accorgimento e razionalizzazione. Il primo che mi viene in mente è quello di eliminare dai questionari la domanda, comunque formulata, che invariabilmente porta al risultato che gli intervistati desiderano essere maggiormente informati! Sappiamo bene come tutti rispondano sempre affermativamente purchè sia implicita la gratuità dell'informazione ed appare fin troppo chiaro che una domanda del genere serva soltanto a sostenere un incremento dei nostri budget. Un altro "caveat", di natura diversa, è quello di citare sempre (in qualsiasi formato venga poi diffusa la ricerca) l'esatta formulazione della domanda, il campione intervistato, la data delle interviste e l'istituto che ha condotto la ricerca. Con il proliferare degli istituti e la crescente strumentalizzazione delle ricerche da parte di un sempre maggior numero di organizzazioni, si è venuta anche a creare una questione di credibilità. Potrebbe essere utile, per i più giovani e inesperti (si fa per dire...) formulare una sorta di decalogo di errori da cui un relatore pubblico dovrebbe guardarsi quando commissiona una ricerca da utilizzare verso l'esterno. Volete contribuire con la vostra esperienza o un vostro caso? Scriveteci.
tmf
Eventi