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CdA: Mourinho e l’effetto framing

28/01/2016

Alberto Paletta – www.sixmemos.org

C’è un fil rouge che connette la mediaticità di Josè Mourinho, la retorica politica e la composizione del consenso all’interno dei consigli di amministrazione societari. Ne parla Alberto Paletta, curatore del blog Sixmemos.org, rimandando alla teoria cognitiva del Premio Nobel Daniel Kahneman.

Sebbene recentemente licenziato dal Chelsea, Josè Mourinho rimane un grande personaggio per tanti motivi, non solo calcistici. In uno dei libri più divertenti dedicati alla comunicazione politica, Sbagliare è umano ma la sinistra è diabolica di Marco Bettini (2011), troviamo un passaggio che esemplifica una delle modalità utilizzate maggiormente nella conflittualità politica. E’ riferito proprio alla conferenza stampa di Josè Mourinho, detta dei “Zero tituli”, tenutasi nel 2009 dopo la eliminazione dell’Inter in Champions League a opera del Manchester United. Ai giornalisti non pareva vero di poter finalmente infierire su un personaggio fino a quel momento sicuramente vincente ma altrettanto arrogante, e quando provarono ad attaccarlo Mourinho rispose con una profezia che si autoavverò: “Io vedo grandi squadre, come la Juve, che sono già fuori dalla corsa per il titolo. Vedo società come il Milan e la Roma che finiranno la stagione senza vincere niente. Arriveranno a fino stagione con Zero tituli”.

Per Bettini, questa capacità di ribaltare istantaneamente il framing (inquadramento) della realtà evidenziando i problemi degli avversari è stata una delle tecniche più insidiose di Silvio Berlusconi durante i suoi anni di governo. In realtà l’effetto framing – cioè il modo di presentare una situazione e non solo il suo contenuto – è un risultato importante della moderna teoria cognitiva elaborata da Kahneman e Tverski (il primo premiato con il Nobel del 2002) e costituisce ormai un elemento chiave della moderna comunicazione politica, come certificato dal successo di Non pensare all’elefante del linguista americano George Lakoff.  E’ un tema che non riguarda solo la politica. Lo scrittore Giuseppe Pontiggia raccontava che durante un corso di scrittura creativa, di fronte a un uditorio composto da docenti della Bocconi, si trovò a controbattere chi gli obiettava che “in fin dei conti loro erano semplicemente dei ragionieri di lusso” e che forse la capacità di scrivere e comunicare bene non era così importante. Pontiggia rispose che chiunque volesse convincere un’assemblea di azionisti avrebbe dovuto passare attraverso le modalità della retorica classica.

La letteratura sui processi decisionali di organi collegiali, e in particolar modo di comitati esecutivi, è focalizzata sulla composizione e sulla struttura di tali organi, sulla possibilità di limitare sovrapposizioni e conflitti di interesse, sulle modalità di voto. Tutti temi assimilati e ormai formalizzati negli schemi di corporate governance delle principali società. C’è invece un’evidenza ridotta del fatto che, prima di tutto, la generazione di una scelta collegiale passi da una tipica capacità cognitiva come la comunicazione e da tutti gli strumenti a essi collegati: retorica, presenza scenica, capacità di argomentazione, eccetera. In sintesi, dall’effetto framing e dallo storytelling.
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