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Muzi Falconi: sono gli stakeholder a legittimare le imprese

29/01/2015

Rossella Sobrero

La sostenibilità, la licenza di operare data dagli stakeholder, la valutazione dei risultati sono alcuni dei temi che Toni Muzi Falconi affronta nell’intervista rilasciata a Rossella Sobrero.

Sappiamo che passi molti mesi negli Stati Uniti dove lavori e insegni. Quali sono le differenze più significative tra un’impresa italiana e una americana che adotta un approccio responsabile e sostenibile?

Non farei tanto distinzione fra imprese italiane e americane, anche se è vero che queste ultime arrivano più tardi nel dibattito sul tema della sostenibilità (il passaggio dalla share alla stakeholder company in USA è più lento… ma occorre anche dire che in Italia, in piena coerenza con il suo stereotipo, le discussioni abbondano mentre le azioni languono). Più utile mi pare la distinzione fra imprese le cui direzioni considerano la sostenibilità come un’altra modalità espressiva di tutto quello che va sotto il cappello della comunicazione, dell’immagine e della reputazione (la grandissima parte in entrambi i paesi), e quelle (poche, ma in crescita) in cui i gruppi dirigenti considerano la sostenibilità – intesa come durata nel tempo- variabile essenziale dell’azione sui mercati.

A mio parere le imprese, almeno in Italia, non sono ancora capaci di valorizzare il proprio impegno sociale e ambientale. Condividi che spesso manca un piano strategico di Relazioni pubbliche per coinvolgere stakeholder e influenti?

Si, condivido. La durata nel tempo di una organizzazione, la sua legittimità, la sua ‘licenza di operare’ dipendono in misura crescente dai comportamenti dei diversi gruppi di stakeholder (collaboratori, azionisti, fornitori, clienti, distributori, poteri pubblici…), e un attento e professionale ascolto delle aspettative di questi nei confronti dell’organizzazione suggerisce sempre politiche, pratiche, mutamenti di linea e di azioni parte di un piano di relazioni con gli stakeholder che può essere continuamente monitorato nella sua efficacia. Eviterei il termine ‘strategico’ perché ho difficoltà a capirlo, ma non v’è dubbio che questo processo migliora la qualità delle decisioni e ne affretta l’esecuzione.

Il tema della misurazione dei risultati so che ti appassiona da tempo. A che punto siamo su questo fronte?

Mi sono negli anni convinto che la misurazione dei risultati (preferisco il termine valutazione … più qualitativo) è un aspetto essenziale del senso di responsabilità del singolo professionista verso se stesso, l’organizzazione per cui lavora e la società. Quando mi guardo allo specchio (senza selfie…) mi sento meglio se sono riuscito dimostrare a me stesso che il mio lavoro ha contribuito a raggiungere i risultati perseguiti e mi è meno arduo argomentare il valore del mio lavoro con chi mi paga e con chi mi relaziono. Lo stereotipo che valutare costa più dell’azione fa parte di un concetto errato che considera l’ascolto (prima, durante e dopo) come separato dal processo comunicativo, e va superato. Dal punto di vista delle tecniche e dei metodi gli sviluppi in questi ultimi anni sono stati impressionanti … anche qui di tutto e di più … Basta tenersi al corrente senza farsi abbagliare e soprattutto mantenere alto lo spirito critico e avere idee chiare sul fatto che l’approccio concettuale è sempre lo stesso (principio generico) ma l’applicazione è sempre diversa (applicazione specifica).

Fonte: CSR e dintorni
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