Ferpi > News > Muzi Falconi: tre provocazioni per le Rp

Muzi Falconi: tre provocazioni per le Rp

04/06/2014

Di ritorno dopo cinque mesi di assenza dall’Italia, una riflessione, anzi tre, di _Toni Muzi Falconi_ su quello che ha trovato al suo ritorno. Sulla situazione attuale e sul futuro, delle Relazioni pubbliche ma non solo.

di Toni Muzi Falconi
Non mi succedeva da 50 anni. Mai ero stato lontano dall’Italia per ben cinque mesi.
Vi sono appena rientrato e mi hanno subito impressionato soprattutto tre questioni che hanno a che fare direttamente con il nostro lavoro.
1. Arrivo a Roma domenica pomeriggio e trovo cinque richieste urgenti di altrettanti ex studenti laureati con me negli ultimi anni. Li vedo subito, uno dopo l’altro, lunedì e martedì. Il tema è lo stesso: non trovano lavoro anche dopo mesi o, addirittura, un anno o due dalla laurea. Non mi era mai successo. Intendiamoci… non un lavoro tradizionale, dipendente, retribuito, fisso, etc. Neppure uno precario, neppure un internship (eufemismo per “lavoro gratuito”).
2. La recente infornata di nuove nomine ai vertici delle grandi aziende collegate allo Stato alimenta un turbinio di voci in merito al futuro di tanti colleghi con posizioni senior. Mi torna in mente il nostro congresso Euprera 2008 di Milano in cui parlammo della “istituzionalizzazione” della funzione. Siamo alle solite? Il capo dell’azienda si porta dietro il suo comunicatore, la sua segretaria e il suo autista… Sarà così anche stavolta?
3. I primi contatti professionali con imprese, enti e istituzioni, soprattutto imprese, mi segnalano l’urgenza di una nuova e sofisticata abilità richiesta al nostro lavoro in un periodo prolungato di vacche magre: quella di trovare noi le risorse pour cause affinché i nostri clienti possano affidarci incarichi di rilievo.
Rispetto al primo punto, il mio antico senso del dovere mi dice di smettere di insegnare, se non riesco più a predisporre le basi perché gli studenti possano guardare con relativa tranquillità al loro futuro. Drastico, lo so e credo che solo parzialmente la resistenza delle organizzazioni a assorbire queste nuove risorse dipenda dalla qualità degli studi compiuti. Il problema è un altro… Giorgio Napolitano parlava una volta di benaltrismo per stigmatizzare l’abitudine dialettica di cambiare argomento. Negli ultimi decenni ho anch’io contribuito ad alimentare la storia che le Relazioni pubbliche sono una professione del futuro. E ho sbagliato. Ma attenzione… non perché le Relazioni pubbliche non siano il lavoro del futuro (basta andare in Svizzera, in Spagna, persino in Grecia) ma, temo, perché sono il nostro territorio e la nostra economia a non avere futuro.
Rispetto al secondo punto i primi segnali che si percepiscono non ci dicono affatto che le relazioni pubbliche non resistano ai vertici delle imprese. Anzi, per molti aspetti si moltiplicano e si diffondono (vedi Eni e Enel), crescendo di ruolo e di importanza. Le persone che hanno ricoperto il ruolo in questi ultimi anni hanno sicuramente contribuito al consolidamento del ruolo, dandogli autorevolezza, competenza e credibilità. Semmai, confondendo talvolta il servizio all’impresa con il servizio al suo vertice, hanno accumulato occhi delle altre funzioni manageriali di vertice, anche rispetto ai loro colleghi internazionali, poteri concentrati impropri anziché distribuirli attraverso le funzioni. Non sono renziano rottamatore, ma non credo che questo sia la fine del mondo e, parafrasando Livingstone, le notizie di una debacle sono largamente esagerate.
Rispetto al terzo punto considero la sfida di grande interesse che dovrebbe perlomeno stimolare anche molti giovani. Ecco il terreno ideale di cultura e di applicazione di tutto quello che da anni si va dicendo e scrivendo intorno alla network society, ai sistemi di relazione e al loro valore. Qui si vedrà la nuova creatività delle Relazioni pubbliche…
In conclusione, dopo avere, fra il 1989 e il 2002, contribuito intensamente a fondare il nuovo Partito Progressista Italiano (ero coordinatore nazionale della Sinistra dei Club che, insieme ad Achille Occhetto “rottam” il vecchio Partito Comunista) non posso certo non essere soddisfatto che a venti anni di distanza l’esito elettorale sia stato quello che abbiamo visto. Ritengo che le opportunità di consolidamento sono tante, ma il rischio è uno solo… ed ha direttamente a che fare con il nostro lavoro: a forza di rilanciare ogni giorno al fine di distrarre l’attenzione dell’elettorato dalla compulsiva politica dell’annuncio condotta dai vincitori durante la campagna elettorale è pronto, anzi prontissimo, il baratro della perdita di fiducia, che comunque la si pensi, è quello che gli americani definiscono walk the talk. E allora… Altro che Grillo…
So bene che queste osservazioni non piaceranno a tanti e crescenti ottimisti e spero proprio che abbiano ragione loro. Ne vogliamo discutere?
Eventi