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Ne uccide più la lingua che il covid: la guerra delle parole

10/05/2020

Redazione

Ma perché, nella descrizione dell’evoluzione della pandemia si è scelto un linguaggio e un registro militari? Perché l’infezione viene sempre descritta come un nemico da sconfiggere? Perché i medici e gli operatori sanitari sono stati trasformati in eroi al fronte? Perché così tante similitudini con un periodo di guerra? Una riflessione sul mestiere di giornalista.

Questo libro parla della comunicazione giornalistica e istituzionale al tempo della pandemia da Coronavirus. Parte da una osservazione di quello che hanno scritto giornali e hanno riferito i telegiornali, propone una lettura e una spiegazione del perché, infine avanza ipotesi su come continuare a svolgere al meglio la professione di giornalista, parlando di fenomeni che coinvolgono anche le emozioni di chi le comunica, con la capacità di tenerle separate dai fatti che vede. In due mesi abbiamo letto di bombe, polveriere, micce, esplosioni, economia di guerra, tutti riferiti ad una malattia. 

Alcuni titoli di giornali e telegiornali: “Contagi e paura: il morbo è tra di noi” (La Nazione). “Forza e coraggio per sconfiggere questo nemico invisibile” (Presidente del Consiglio Conte), “Nous sommes in guerre” (Presidente della Repubblica Francese Macron), “Sacche di resistenza” alla lotta per la liberazione (Sindaco di Bologna, Merola); “Il virus killer che viene dalla Cina”, così come il nemico (cinese) che viene per uccidere.Fino a: “non c’è più posto al cimitero”, che somiglia al trailer di un film di George Romero. Così la malattia da epidemia, si è trasformata in una pandemia, per diventare una infodemia o pandemia informativa, dove sembra più importante quello che si dice o si legge piuttosto di quello che succede davvero.

Ma perché, nella descrizione dell’evoluzione della pandemia si è scelto un linguaggio e un registro militari? Perché l’infezione viene sempre descritta come un nemico da sconfiggere? Perché i medici e gli operatori sanitari sono stati trasformati in eroi al fronte? Perché così tante similitudini con un periodo di guerra? Il linguaggio dei giornali e delle televisioni ha alternato momenti di sottovalutazione a momenti di spettacolarizzazione del problema, senza permettere ai fruitori di farsi una idea realistica e adulta del problema. Nella descrizione delle varie fasi di lotta al virus ha avuto successo uno stile di linguaggio che viene ripreso direttamente da quello militare, fatto di attacchi, di difese, di trincee e di nemici da scovare e da rendere inoffensivi, ma anche di città assediate, di blindature e di nemico che avanza.

Questo libro offre una serie di esempi di linguaggio militaresco e opera un excursus storico e letterario per cercare e offrire una prima chiave di lettura del perché i fatti siano stati descritti in questo modo. Si offre infine un breve glossario per aiutare a capire il significato di termini diventati di ascolto comune, ma che non sempre sono compresi veramente, come tampone, test sierologico, virus, etc. Infine il libro si propone di essere un contributo al miglioramento degli strumenti del giornalista e uno stimolo alla riflessione circa le conseguenze reali di un determinato modo di comunicare le notizie.

Contemporaneamente, è una esortazione ai lettori di non accontentarsi, ma di fare la fatica di andare oltre i titoli e le facili descrizioni: di usare, in definitiva, il senso critico che permette di capire davvero il mondo in cui siamo.




Ne uccide più la lingua che il covid
La guerra delle parole 
Romina Gobbo
Amazon, 2020

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