New York-Trieste andata e ritorno
09/08/2005
New York: i più autorevoli relatori pubblici abbracciano i manifesti di Trieste e chiedono un nuovo vocabolario professionale.
Parliamo talvolta con orgoglio della nostra abilità di comunicatori nella creazione di 'messaggi' per i nostri clienti/datori di lavoro. In politica, come nelle imprese, nelle organizzazioni sociali e pubbliche, questo termine si è ormai diffuso ovunque. I più sofisticati parlano anche di approccio narrativoo di framing' il come raccontare la storia è diventato più importante della storia stessa, il messaging più importante del message. Del resto, ricordate McLuhlan con il suo massaging the message? E, ormai parecchi anni fa, nel commentare il metodo Gorel dopo averlo attentamente studiato, James Grunig mi chiese: mi pare tutto bene... ma perché continui a parlare di messaggi? All'inizio confesso che avevo difficoltà a capire, ma con gli anni credo di esserci riuscito: il concetto di 'messaggio' implica per molti un invio unilaterale e una fonte emittente che si pone in situazione asimmetrica.Solo l'altro ieri Richard Edelman, la persona meno accademica e più operativa si possa immaginare ai piani alti della professione, mi ha detto (e poi ha scritto sul suo blog) forse il concetto di controllo del messaggio aveva senso in un mondo in cui i media erano relativamente pochi ed oggi è diventato obsoleto..f orse dobbiamo allontanarci da tutto ciò che faccia pensare al 'controllo' e alla 'manipolazione dei pubblici.'
A sua volta, l'ottimo Paul Holmes ha da poco scritto su PR Week quel che affermiamo da sempre: le relazioni pubbliche efficaci non sono cosmetiche e mai proiettano una immagine che non rifletta la realtà. Le relazioni non si costruiscono sull'immagine, ma sui comportamenti!E Richard Edelman prosegue: possiamo e vogliamo essere uno dei ponti essenziali in una società dove istituzioni private e pubbliche e i media continuano a perdere la fiducia dei pubblici: forse possiamo stimolare la conversazione fra tutte le persone che, in numero sempre più alto, affermano di fidarsi più degli amici, dei vicini, dei conoscenti (word of mouth) e incoraggiarli e stimolarli a raccontare le loro esperienze alle organizzazioni con le quali lavoriamo. Che sia questa oggi la nostra funzione? Quel che comunque è certo è che lo status quo non è accettabile per la nostra professione.
E se lo dice lui...
A sua volta, Sej Motau, il guru sudafricano che ha spopolato a Trieste dice: Sebbene i riferimenti agli utenti dei prodotti comunicativi intesi come pubblici, destinatari e target resistano ancora, la realtà ha mostrato ai relatori pubblici che queste persone non sono esclusivamente passive, bensì partecipano attivamente alle attività di comunicazione. L'acceleratore primario di questa spinta è stata l'adozione del concetto di stakeholder all'interno della comunicazione delle organizzazioni. Questo fenomeno, uno degli sviluppi più interessanti degli ultimi tempi, ha visto il concetto di pubblici, target e destinatari migrare da una accezione amorfa e passiva di "massa" in una più distinta di stakeholder con specifici bisogni ed aspettative. Conseguentemente, la comunicazione di massa, nel suo senso tradizionale, è virtualmente scomparsa e la segmentazione e la personalizzazione di messaggi sono diventate l'acceleratore dominante dei prodotti comunicativi. E dato che i prodotti della comunicazione diventano sempre più targetizzati e focalizzati, il consumatore di questi prodotti non può più essere inteso come un bersaglio, un target, ma bensì come uno stakeholder, con dei diritti che vanno rispettati. Questo cambiamento ha iniettato una dinamica molto importante nella equazione comunicativa.E Paul Krugman, l'autorevole commentatore del New York Times, ha scritto solo qualche giorno fa: Ci sono molte ragioni per cui la ricerca fasulla produce tanta efficacia. Una è che i non scienziati talvolta hanno difficoltà a distinguere fra la ricerca è l'advocacy (le iniziative comunicative dei gruppi di interesse ndr) - se ci sono i numeri e i grafici, non è proprio come la scienza?
Il tutto ci conduce inevitabilmente verso quel nuovo inizio di cui parlano sia il primo che il secondo Manifesto di Trieste.Ma su queste pagine il dibattito non si anima. Che succede?(tmf)