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Nuovi approcci alla comunicazione politica

30/11/2011

Il problema del comunicare la politica è quello di trovare continuamente formule e sistemi sempre nuovi al fine di superare l’assuefazione del pubblico. Lo sostengono _Enrico Caniglia_ e _Marco Mazzoni_ nell'introduzione al libro _Nuovi approcci alla comunicazione politica,_ che vi presentiamo.

di Enrico Caniglia e Marco Mazzoni
Comunicare la politica
Nel film I mostri di Dino Risi, c’è l’episodio di una coppia che al cinema vede un film in cui dei soldati tedeschi fucilano un gruppo di partigiani prigionieri. La scena è tesa e drammatica: arrivano dei camion di vecchio modello, vi discendono un gruppo di silenziosi prigionieri con le mani legate dietro la schiena; la loro discesa è accompagnata dalle urla in tedesco dei carcerieri; mentre una schiera di soldati tedeschi si dispone in batteria, i prigionieri vengono messi in fila davanti a un muro. Palesando un totale indifferenza verso la sequenza drammatica del film, l’uomo dice alla moglie che gli piacerebbe che la loro nuova villa fosse proprio del colore di quel muro. L’episodio viene interpretato come una denuncia della caduta degli ideali della resistenza nella nuova società dei consumi, l’incapacità delle generazioni del boom economico di comprendere le crudeltà della guerra: il film è onesto è sincero, ma il suo pubblico ormai è disimpegnato e indifferente. Si potrebbe però provare a capovolgere l’interpretazione: la rappresentazione filmica degli episodi tragici della Resistenza è ormai scontata, ampiamente prevedibile, e il pubblico ne è ormai assuefatto e francamente stanco. Non è il pubblico a essere senza valori, caso mai è il cinema che ripete sempre la stessa formula per rappresentare la Resistenza, che si basa furbescamente su moduli collaudati, ma che alla lunga finiscono per dare a noia.
Questa stessa riflessione può essere estesa al rapporto tra comunicazione politica e cittadini. Quello che molti definiscono “il diffuso atteggiamento di apatia politica” potrebbe essere non tanto la manifestazione di un sentimento prevalente di indifferenza e di disimpegno, quanto invece espressione del fatto che la comunicazione politica, ovvero l’interfaccia fondamentale tra la politica e i cittadini, è diventata ovvia, ripetitiva, falsa. I cittadini non sono privi di valori positivi e di voglia di partecipazione, anzi tutt’altro. È piuttosto il messaggio politico che si è fatto scontato, ripetitivo e, dulcis in fundo, poco credibile.
Il problema della natura ovvia e ripetitiva del messaggio politico è centrale nella comunicazione politica contemporanea. I politici, e i loro consulenti, sembrano aver compreso che il pubblico è tutt’altro che disinteressato e indifferente, è solo stanco delle formule prevalenti. A tal proposito, i mass media non aiutano, anzi aumentano i problemi. Nonostante le dosi giornaliere di informazione politica veicolata dai media risultino impressionanti, di fatto il messaggio politico che arriva ai cittadini è diventato essenziale, anzi povero.
Nell’ascoltare un intervento di un leader in un congresso o in un dibattito pubblico, i giornalisti riversano le loro energie nella ricerca di brevi e concisi passaggi citabili. Le argomentazioni e i ragionamenti sono impacchettati in formule sempre più sintetiche che sono poi assunte dai giornalisti come “il succo” del messaggio e del significato complessivo di un messaggio politico, in modo da soddisfare la loro esigenza professionale di “sintesi”. La comunicazione politica è stata forzata a far propria una della caratteristiche della comunicazione mediatica e cioè ridurre il messaggio a slogan brevi e di facile memorizzazione che vengono poi ripetuti in modo ossessivo. Alla fine, il messaggio politico diventa una sorta di prodotto standard che si ascolta senza neanche prestare attenzione al contenuto, anzi il contenuto è indovinato dal pubblico anche prima di ascoltarlo. Ragion per cui la ricerca di modalità comunicative alternative si fa pressante.
Il problema del comunicare la politica diventa allora quello di trovare continuamente formule e sistemi sempre nuovi al fine di superare l’assuefazione del pubblico e permettere così di attirare attenzione e sostegno per i politici.
Per anni si è parlato di una comunicazione politica incentrata su due elementi, spettacolo e intrattenimento, che combinati secondo la logica dei media hanno portato alla “spettacolarizzazione della politica”. Si è sempre pensato, insomma, che “politica + intrattenimento” desse un solo risultato, ossia una politica spettacolo incentrata sulle gesta dei leader. La comunità scientifica ha interpretato tale binomio come la strada più semplice e più breve per accrescere la visibilità, la popolarità del politico, mentre il resto, cioè la politica “seria”, proveniva dai telegiornali, dai quotidiani e dai talk show di approfondimento politico. Compito della ricerca, quindi, è stato anche quello di ricorrere alla tecnica dell’analisi del contenuto per capire quali fossero le principali issues, i principia attori al centro delle notizie politiche (le hard news); e la ragione è semplice: si riteneva che i tradizionali contenitori (tg, quotidiani, ecc.) fossero il vero (e quasi unico) luogo della produzione del discorso politico. Il nostro libro, è bene chiarirlo, non vuole smentire quanto appena detto, dato che molte e importanti ricerche lo hanno dimostrato; tuttavia, negli ultimi anni altri studi hanno iniziato a mostrare che accanto a tutto questo c’è (e forse c’era) anche dell’altro. E come se negli ultimi anni sia iniziata una nuova era in cui sia il politico sia il cittadino desiderano rimarcare la necessità di una politica più vicina alla vita quotidiana, in breve una politica che risulti essere più comprensibile e meno autoreferenziale.
Il punto, però, è che una politica per tutti ha significato soprattutto che i suoi contenuti e i suoi attori hanno occupato spazi sempre più ampi all’interno di outlet diversi da quelli tradizionali. Proviamo a spiegarci ponendo un quesito: dove i cittadini trovano informazioni sul problema dei clandestini, sul costo della vita, sulla malasanità? I telegiornali sicuramente trattano simili problematiche, così pure i giornali. Il fatto è che i notiziari stanno perdendo spettatori, i giornali hanno sempre pochi lettori, mentre il consumo televisivo è in aumento. E allora esistono altri programmi televisivi, oltre quelli tradizionali, in grado di fornire al cittadino informazioni su questioni di interesse generale? La risposta è sì. L’ipotesi, infatti, che verrà indagata nel secondo capitolo è che i programmi di intrattenimento produttori di uno spettacolo adatto per tutta la famiglia (soft news) – fatti di interviste a celebrità, di molta musica e di giochi – si occupano anche di questioni politiche trattandole però con i loro linguaggi, con i loro toni e giocando molto sulla chiave emotiva e passionale. Non è ancora tutto. Una politica per tutti spinge anche il politico ad assomigliare all’”uomo della strada” attraverso il ricorso a nuovi codici comunicativi sicuramente più diretti, più semplici, ma anche più divertenti. E proprio partendo da questi presupposti che in Italia vanno indagate, a nostro avviso, le “esagerazioni” di Silvio Berlusconi. Insomma, nell’era della politica pop, così definita da alcuni studiosi (Mazzoleni e Sfardini 2009), il messaggio politico ha subito e sta subendo profondi cambiamenti che il nostro libro desidera analizzare utilizzando approcci che tengono conto di quei cambiamenti culturali, politici e sociali che si sono verificati negli ultimi anni.
La centralità della comunicazione politica
Lo studio della comunicazione politica si è ormai in larga parte riscattato dall’accusa di irrilevanza che tradizionalmente gli veniva rimproverata dagli studiosi della politica. Complice una serie di avvenimenti – tra cui l’irrompere sulla scena politica di Silvio Berlusconi – che, quanto meno intuitivamente, hanno imposto la rilevanza dei fenomeni comunicativi nel campo della politica, anche in Italia si è consolidato ormai un patrimonio considerevole di ricerche.
L’idea di base è che la comunicazione politica non sia un epifenomeno, un mero contorno dei processi politici, bensì qualcosa che è in grado di influenzare e plasmare la politica. Tuttavia, permangono ancora diverse difficoltà, da cui non sono immuni gli stessi specialisti del settore. Ciò è ben evidenziato dal problema di definire la natura stessa della comunicazione politica: che cosa o, meglio, di cosa e come è fatta la comunicazione politica?
Tra i presupposti non esplicitati degli studi prevalenti vi è l’idea che la comunicazione politica attenga al mondo del simbolico, della rappresentazione, dell’immaginario, oppure che la comunicazione è un mero trasmettere qualcosa, ma non è qualcosa di per sé. In altre parole, mentre la politica è fatta di attori, processi, strutture, eventi, istituzioni, insomma qualcosa di reale, la comunicazione politica attiene invece più al virtuale. Anche presso coloro che hanno compreso la rilevanza della comunicazione politica quest’ultima resta sempre qualcosa di distinto e di secondario rispetto ai fenomeni politici veri e propri. Ancora oggi, studiare la comunicazione politica significa occuparsi di aspetti che sono marginali rispetto alla sostanza di cui è fatta la sfera politica. Si tratta dei simboli politici, delle rappresentazioni politiche, dell’immagine del leader etc., insomma di fenomeni che sono “non sostanziali”. Da questo ridurre la comunicazione politica al simbolico o all’immaginario deriva anche la concentrazione dell’interesse di ricerca sugli “effetti” della comunicazione politica, nonchè la tendenza a far coincidere la comunicazione politica con la manipolazione e l’inganno, quasi che comunicare sia sinonimo di mistificare. Per superare questa visione riduttiva occorre che la ricerca diventi consapevole che la comunicazione non è un fenomeno separabile dai processi politici, ma fa integralmente parte della vita politica. Da qui deriva la forza e la rilevanza della comunicazione politica nella società contemporanea.
Proprio per mostrare la forza della comunicazione politica e la sua capacità di incidere sui fenomeni politici, abbiamo deciso di aprire il volume con un capitolo che analizza la centralità del clima di opinione nelle campagne elettorali postmoderne, mettendo in risalto soprattutto due aspetti. Il primo, anche nel nostro paese abbiamo assistito al trionfo della “democrazia del pubblico”, pertanto, il risultato di una competizione elettorale, il consenso, l’affermazione di una leadership ecc. dipendono in gran parte dalle abilità degli attori politici di sapere gestire il flusso comunicativo indirizzato verso i mass media. In altre parole, in un dibattito pubblico mediatizzato fare politica significa riconoscere la rilevanza dei fenomeni comunicativi. Secondo, oggi la vera “posta in gioco” della competizione democratica è l’opinione pubblica, di conseguenza la comunicazione politica mira ad attivare flussi comunicativi in grado di incidere sulle opinioni individuali e collettive. È partendo da questi presupposti, e ricorrendo ad “altri” approcci, che vorremmo dimostrare come la comunicazione politica abbia la forza per influire sulla realtà, sul concreto e non più soltanto sul marginale.
Non solo la politica influenza la gente ma, come abbiamo visto, si fa essa stessa “gente”. L’altro processo fondamentale indagato nel secondo capitolo è infatti quello della popolarizzazione della politica. Come abbiamo già detto, siamo di fronte ad un processo che trasforma la politica in un “prodotto” divertente, che sa intrattenere il cittadino. Nella società dello spettacolo, i media aiutano la politica a far parte della cultura popolare, guadagnandoci, come ricordano Mazzoleni e Sfardini (2009), in termini di appeal. A nostro avviso, la popolarizzazione della politica, incentrata sul matrimonio tra politica e cultura popolare, può essere interpretata come un rimedio a quella disaffezione verso la politica così diffusa tra la gente. Ora la politica è più accattivante e può, quindi, più facilmente richiamare l’attenzione del cittadino. Inoltre, il matrimonio tra cultura popolare e politico ha anche determinato, come confermato dalle interviste ai direttori delle principali riviste di gossip italiane riportate nel secondo capitolo, una trasformazione del politico in una vera e propria celebrità. Di conseguenza, la sua credibilità personale è sempre più strettamente connessa alla possibilità di ottenere un coverage anche da parte di quegli outlet incentrati sull’intrattenimento puro (programmi di intrattenimento televisivo, rotocalchi, ecc.). Vedremo, però, come in Italia solo una parte politica, e il suo leader, ha saputo calarsi nella parte, mentre l’altra sembra aver difficoltà ad accettare tali forme comunicative.
La comunicazione politica come interazione
Il terzo, il quarto e il quinto capitolo del volume sono dedicati allo studio della dimensione interazionale di alcune forme della comunicazione politica: il discorso politico in pubblico, le interviste televisive, la discussione pubblica così come viene trasmessa nelle notizie di cronaca politica. La ricerca prevalente ha quasi sempre trascurato il fatto che la comunicazione politica è un’attività interazionale. Accecata dal concetto di mass media, la ricerca tradizionale ha sempre immaginato il messaggio politico come una comunicazione di tipo monologico, in cui una fonte (il politico) invia un messaggio direttamente e unilateralmente a una massa di destinatari. È vero che oggi si parla insistentemente di interazione, tuttavia il riferimento è esclusivamente alla comunicazione politica on line, all’interazione tra politici e cittadini resa possibile da internet e dalle nuove piattaforme tecnologiche come il Web 2.0. Ci si dimentica invece della natura intimamente interazionale che ha sempre pervaso il messaggio politico, mediatico e non. L’interazione a cui ci riferiamo e quella tra i partecipanti all’evento comunicativo (non solo politici, ma giornalisti, membri del pubblico, avversari etc.). Come chiunque può constatare giornalmente, gran parte della comunicazione politica mediatica ha una natura prettamente interazionale: interviste, talk show, dibattiti, confronti. Da questo punto di vista, l’interazione è costitutiva della comunicazione politica. Per quanto possa sembrare contro intuitivo, anche le forme pre-mediatiche delle comunicazione politica, come i discorsi e gli interventi dei leader pronunciati nei comizi, nei congressi partitici o nelle cerimonie di investitura, sono ugualmente attività interazionali. Lo dimostra il fatto che un uditorio che applaude e grida slogan è un ingrediente fondamentale dell’“evento discorso”, anche e a maggior ragione quando l’intervento del leader si trasforma in un mega palcoscenico televisivo.
La dimensione interazionale della comunicazione politica è un fenomeno distinto e autonomo rispetto ai contenuti e tutt’altro che marginale nella produzione del messaggio politico. Fenomeni politici fondamentali, come il carisma e l’alone di autorevolezza, emergono quale prodotto dell’abilità dei leader di sapersi barcamenare all’interno di ambienti a struttura interazionale. Per questa ragione, lungi dall’essere l’esito di caratteristiche personali del politico o mere immagini costruite a tavolino da abili consulenti, il carisma e l’autorevolezza non sono qualità individuali, ma sono il prodotto dell’agire concertato e congiunto di politici e giornalisti e di politici e pubblico.
Anche l’informazione politica veicolata dai media tradizionali, come i giornali o la televisione, possiede una specifica dimensione interazionale. La cronaca politica non è solo un mero coacervo di fatti, di commenti e di pareri riportati, ma è spesso il luogo in cui prende corpo la discussione pubblica. Grazie all’azione di “cucitura” dei giornalisti che collegano in forma dialogica e interazionale avvenimenti, dichiarazioni e prese di posizione, la discussione pubblica su un tema appare dispiegarsi davanti a noi, giorno dopo giorno, come qualcosa di concreto, di conoscibile e di giudicabile.
Gli altri approcci tradizionali non riescono a gettare luce su questa fondamentale natura interazionale dei fenomeni comunicativi. Studiando la comunicazione politica, essi scoprono di quale argomento si è parlato – se si è parlato di politica o di economia, di immigrazione o di finanza – o quanto se ne è parlato, ma nulla ci dicono di come se ne è parlato. Poiché insistono sul contenuto, gli approcci tradizionali, come ad esempio l’agenda setting, postulano che il potere della comunicazione consista in un mero meccanismo di trasferimento: il discorso politico-giornalistico contiene certi temi; tramite la comunicazione, questi temi si trasferiscono al pubblico degli spettatori-lettori. Molto spesso, però, ciò che influenza i cittadini e i loro orientamenti non è semplicemente di cosa si parla nei media o quanto se ne parla, ma il come se ne parla. Studiare la dimensione interazionale del messaggio politico è quindi un modo per gettare luce su questo aspetto.

Nuovi approcci alla comunicazione politica
E. Caniglia, M. Mazzoni
Carocci, 2011
pp. 192, € 17,00
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