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Paolo Iabichino a InspiringPR 2025: “Ribaltare i paradigmi per una comunicazione civile”

12/05/2025

Federica Lago

InspiringPR torna a Venezia con un tema urgente e necessario: l’etica come bussola per chi comunica. Tra gli ospiti di questa edizione 2025, anche Paolo Iabichino, scrittore pubblicitario, direttore creativo, fondatore dell’Osservatorio Civic Brands e maestro alla Scuola Holden.

 

Con lui abbiamo parlato del ruolo dei brand, della pubblicità civile e del coraggio di comunicare con sincerità.

 

Paolo, l’etica nella comunicazione sembra essere spesso sacrificata sull’altare della velocità e della viralità. In un’epoca di "good times" e "bad times", cosa significa per te rimanere etici?

L’etica è già stata sacrificata alla voracità degli algoritmi, dei canali digitali e di chi ha voluto compiacerli, adesso dobbiamo ricucire questo strappo. Purtroppo la velocità degli algoritmi ha creato una frattura insanabile tra il portato etico della comunicazione e la responsabilità civile del consumo, il bisogno necessario e opportuno di fare mercato in maniera, se non etica, quantomeno socialmente responsabile impegnata, attenta. 

 

Con l'arrivo delle piattaforme, piano piano e poi sempre più velocemente, quando abbiamo capito che il meccanismo funzionava, è stato dato in pasto loro tutto il peggio che si poteva fare quindi l'etica non è minimamente entrata nei radar di chi fa comunicazione. Le persone sono diventate target da abbattere, colpire e portare dentro i nostri meccanismi virali senza nessun tipo di riflessione e di senso critico anzi era premiante quanto più eri veloce, quanto più muovevi pancia, stomaco, risate o pianti, in nome di una pornografia emotiva che è esattamente il design delle piattaforme, disegnate per onorare questo tipo di meccanismo e noi siamo caduti nella trappola del pifferaio magico. Adesso l’etica non è più opzione.

 

Nel tuo ultimo libro parli di "pubblicità civile", capace di ribaltare paradigmi e generare cambiamento. Qual è il primo passo concreto che un brand dovrebbe compiere per uscire dalla retorica del purpose e iniziare a servire davvero la società?

Non essere retorico, molto banalmente. Rinunciare alla retorica fine a sé stessa, interrogarsi su quali sono le reali spinte, le motivazioni, le vocazioni per cui si fa impresa, per cui si sta sul mercato, spinte che i fondatori di solito hanno. Chi sta sul mercato difficilmente lo fa soltanto per vendere qualcosa a qualcuno, spesso c'è un sogno, una visione, un’ideale, almeno per un certo tipo di imprenditori è così ed è sempre stato così, ciò che serve è recuperare quelle spinte originali, i primi geni, quelle vocazioni, quello che oggi chiamiamo purpose.

Se la risposta è solo 'vendere di più', va bene. Ma se viene da un luogo più profondo, allora cambia tutto.

 

Hai un esempio di brand che, secondo te, ha avuto il coraggio di "barattare consenso" per avviare un dibattito scomodo?

Il primo che cito è senz’altro Patagonia che esplicita la sua vocazione: “We are in the business to save the planet”. Vuol dire che ogni maglioncino che viene venduto è pensato per far bene al pianeta perché viene prodotto secondo certe logiche, perché viene venduto solo a persone che possono permettersi di capire l'intera filiera produttiva che c'è dietro quel prodotto. Altromercato fa la stessa cosa, lì siamo nel territorio del mercato equo solidale quindi una scelta precisa di responsabilità. In generale posso dire che aziende piccole, medie, grandi che si stanno muovendo in questo senso ce ne sono. Vaia è una startup straordinaria che in pochissimo tempo è riuscita a sfruttare a utilizzare disastro come l'uragano Vaia nelle Dolomiti e a trasformarla in un'idea di impresa a beneficio proprio delle popolazioni colpite. 

 

Vanno fatte girare queste storie e vanno isolati e stigmatizzati quelli del neoliberismo ultra competitivo a tutti I costi. Adesso è il tempo di non mollare, su questi temi è proprio il momento delle barricate.

 

Se potessi dare un consiglio a chi si affaccia ora al mondo della comunicazione, quale sarebbe un principio etico che non dovrebbe smettere di perseguire o coltivare?

Provare a non vergognarsi di quello che si scrive, se si riesce a non provare imbarazzo e a sentire la bontà del proprio scrivere quando è in pagina e dire “questo l'ho fatto io”, è un piccolo pezzo, un tentativo onesto di portare un tema, un pensiero, un'idea in maniera importante, allora può avere delle buone chance per fare questo mestiere in maniera rinnovata. 

 

 

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