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Quando l’educazione diventa marketing induce conseguenze non necessariamente prevedibili

20/08/2008

Toni Muzi Falconi segnala e commenta una "straordinaria" inchiesta del New York Times sul programma di comunicazione di Merck a Glaxo sui vaccini contro il cancro cervicale.

di Toni Muzi Falconi


Cliccate subito qui e leggetevi una straordinaria inchiesta di oggi del più importante quotidiano americano sul programma di comunicazione di Merck a Glaxo relativo ai vaccini contro il cancro cervicale e, qualora non vi interessasse in particolare la comunicazione delle industrie farmaceutiche, non passate oltre perché l’argomento di fondo, appena sfiorato nell’inchiesta – peraltro ricca di suggestioni e stimoli professionali per ciascuno di noi – vale per qualsiasi programma di comunicazione che riguardi qualsiasi tema, anche il più banale.


Infatti, la domanda che dobbiamo farci (per chi ambisca a produrre comunicazione responsabile – non perché sia ‘bello’ fare così ma perché più efficace…) ha a che vedere con le conseguenze che la diffusione di determinati contenuti e argomentazioni producono sui soggetti esposti a quella comunicazione, e meno attrezzati per interpretarla come parrebbe più ragionevole.


Per restare in ambito farmaceutico penso ad esempio al comunicato stampa di qualche anno fa di una delle maggiori industrie del settore, orientato esplicitamente alla comunità e alla stampa finanziaria, in cui veniva annunciata la scoperta di una nuova molecola contro una delle malattie più terribili.
In quel caso l’intento dell’organizzazione emittente era produrre un rialzo dei corsi di borsa alla vigilia della pubblicazione dei risultati economici trimestrali particolarmente deprimenti.
Tattica normale direte voi, ed è vero.


Soltanto che i nostri colleghi che hanno redatto quel testo, verosimilmente su esplicita richiesta dei loro capi, hanno omesso di specificare che ci sarebbero voluti almeno altri cinque/dieci anni perché quella pur fondamentale scoperta avrebbe potuto tradursi in farmaci per i pazienti afflitti da quella malattia.
Il risultato è che le azioni sono schizzate in alto ottenendo l’effetto desiderato e, in parallelo, migliaia di famiglie hanno tempestato di richieste i rispettivi medici curanti per potersi procurare medicinali che non sarebbero stati sul mercato per diversi anni, producendo un effetto speranza-delusione nei malati che di certo non ha contribuito a migliorare la loro condizione.


Per uscire dal settore farmaceutico analoghe considerazioni possono valere per molte ‘soluzioni’ che le organizzazioni annunciano di continuo senza indicare in quali tempi queste potranno produrre gli effetti desiderati.
Scegliete voi il settore, dall’energia alla politica, dalla sicurezza alla mobilità e chi più ne ha più ne metta.


Ripeto e concludo: secondo me non è questione che investe soltanto l’etica della professione, ma l’efficacia stessa della comunicazione.


Infatti, è pur vero che nel caso citato prima l’effetto a breve di produrre un rialzo delle quotazioni di borsa è stato raggiunto, ma è altrettanto certo che quel rialzo si sarebbe ugualmente verificato se i nostri colleghi avessero aggiunto l’informazione che il prodotto non sarebbe stato disponibile se non dopo qualche anno.
Gli analisti e i giornalisti finanziari che seguono le questioni della salute queste cose le sanno benissimo e, di certo, ricevendo quell’informazione non hanno telefonato ai loro cari per avvertirli che le loro sofferenze sarebbero presto diminuite.


Quel comunicato era sì diretto agli analisti, ma – avendo scelto di distribuirlo ai giornali – i nostri colleghi avrebbero dovuto prevedere le conseguenze indesiderate e provvedere a quel supplemento di informazione. Perché non l’hanno fatto?


Al di là del caso specifico, questo fenomeno appartiene alla inveterata abitudine di non risparmiarci mai nel diffondere i nostri contenuti a pubblici diversi, senza però chiederci se siano per loro interessanti o, peggio ancora, se non possano produrre su di loro effetti indesiderati….


Quindi, non solo contribuiamo all’inquinamento informativo; non solo aumentiamo, perlomeno inutilmente, i costi delle nostre attività; ma aiutiamo a creare le condizioni che richiederanno ulteriori precisazioni, spiegazioni, argomentazioni che non sarebbe state necessarie. Ecco perché parlo di comunicazione responsabile e la collego alla sua efficacia.
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