Lucio Gomiero
Condividiamo questo 'appunto' di Lucio Gomiero, Manager d’azienda e docente universitario, sull’intelligente uso dei pronomi da parte di Jannik Sinner, nella speranza che la 'lezione grammaticale' del nostro campione sia utile anche in altri contesti.
Trovo meraviglioso Jannik Sinner che usa il "noi" per raccontare nelle interviste le sue partite, i suoi programmi, i suoi successivi. Forse ho sbagliato a dire "suoi" …
Lo fa nelle interviste a caldo, alla fine di partite che nel tennis diventano epiche, soprattutto negli slam, dopo aver fatto qualche centinaio di battute a 200 km orari: "oggi noi abbiamo fatto un altro passo avanti …", "noi abbiamo preparato la partita soprattutto ….".
Usare il "noi" in quei momenti, in modo cosi naturale, spontaneo si riesce solo se l’hai dentro, nel cuore e l’hai allenato nel tempo. In quel momento credo che il team che lo segue, composto da due allenatori, l’osteopata, lo psicologo, il massaggiatore, il medico, abbia la più grande delle ricompense emozionali e raccolga ulteriore energia motivazionale per continuare ad aiutare Jannik a migliorare. Il team si sente parte della vittoria. Anche in questo Jannik è un esempio.
Un esempio anche per molti capi, o leader se si preferisce. Le comunicazioni di coloro che hanno un ruolo di responsabilità dovrebbero concentrarsi su ciò che conta per la squadra, non su ciò che conta semplicemente per loro; uno dei modi più efficaci per trasmettere tale volontà è proprio sostituire "io" e "me" con "noi".
Ci sono molte sfumature sul "noi", sul pluralis maiestatis che possono accendere il dibattito:
Cicerone nel I secolo ben lo usava per rafforzare alcuni passaggi delle sue mirabili orazioni; coi sovrani usato in modo formale diventava una forma di arroganza; fino ad arrivare a fine anni ottanta, quando Margaret Thatcher esagera con un "We have become a grandmother". Ma lascerei le sfumature alle ricerche ulteriori, magari fatte con qualche intelligenza artificiale.
Invece, ho osservato spesso il modo di raccontare le proprie imprese da parte di imprenditori, i risultati dell’anno da parte di manager e ho ascoltato anche consulenti che presentavano un progetto a un cliente. E’ incredibile come l’uso del "noi" e dell'"io" sia rivelatore delle personalità, ma soprattutto del modo profondo di sentire e vivere la collaborazione con le altre persone.
Certo che una spruzzata di zucchero a velo di “noi” la mettono tutti o quasi, ma reggere nel tempo un confronto, un’intervista, una presentazione col primo pronome plurale non è così comune. Anzi, con questo criterio, potete segmentare i mondi, le persone che frequentate nelle due tipologie: quelli del noi e quelli dell’io.
Lo dimostra anche una ricerca di un team di docenti europei: l’uso dei pronomi fornisce indicazioni sullo status (attuale o aspirazionale) di un individuo all’interno di un gruppo o di una gerarchia e "i pronomi che usiamo svelano la nostra insicurezza". Anche in un semplice confronto fra componenti di un team, quando scatta il "voi" fa comparire per differenza l'"io", anche se non esplicitato.
Solo un cenno rapido alla politica. Da quando è iniziato negli anni Novanta l’eccesso di personificazione dei partiti coi propri leader o fondatori, tanto da mettere i loro nomi sui simboli, abbiamo avuto un progressivo degrado del funzionamento della politica e ancor più della partecipazione al voto. Ovviamente c’è anche dell’altro, ma anche in questo caso siamo in
un conclamato "eccesso di io" che di sicuro allontana, divide.
Cosa ci aspetta nel futuro? Una ricerca dell’Università Ca’ Foscari, che abbiamo avuto (stavo per dire ho) la possibilità di discutere nell’evento Strategy Innovation Forum di ottobre, metteva in luce come gli anni Ottanta e Novanta fossero stati caratterizzati dal "io ho", per poi lasciar spazio nei primi vent’anni del Duemila al "io sono" e auspicabilmente immaginare che i futuri 20 anni potessero vedere l’affermazione del "io siamo".
Sarebbe un bel passo per tutti noi. Intanto godiamoci il team Sinner e ben venga che abbia usato l’io qualche volta per dire: "io sono e mi sento italiano".