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Renzi cambia verso, anche nel rapporto con i media

23/01/2014

Un riequilibrio dei rapporti di potere tra campo politico e campo mediatico può essere ciò che occorre per ridare peso e autorevolezza alla politica italiana. È quello che sta facendo il neosegretario del Pd, Matteo Renzi e che, come sostiene _Mario Rodriguez,_ potrebbe portare ad un rinnovamento della società.

di Mario Rodriguez
Per ridare peso e autorevolezza alla politica, i rapporti di forza tra attori politici e sistema mediatico dovranno essere ridefiniti in modo più equilibrato. La politica dovrà trovare una nuova legittimazione nel rapporto diretto con la società senza delegare del tutto il processo di legittimazione alla “mediazione dei media”. La politica dovrà avere rapporti più diretti con il pubblico che con l’opinione pubblica cioè le opinioni rese pubbliche dai media (interpretate e diffuse attraverso le loro logiche).
Cambiare verso a come si fa politica cioè a come la si fa vivere agli italiani significa anche produrre un cambiamento nel rapporto con il sistema mediatico e, di conseguenza, dentro lo stesso campo mediatico.
La stagione avviata può avere questo effetto. Il primo segno di un cambiamento, certo appena iniziato e niente affatto scontato è la volontà resa esplicita da Matteo Renzi di non volersi più fare dettare l’agenda dai media. Alle affermazioni di principio hanno fatto seguito alcuni comportamenti, piccoli ma interessanti segnali, a cominciare dall’orario e dai luoghi della segreteria e degli incontri.
Tra il rischio di apparire subalterno e quello di apparire arrogante certo il secondo è quello che il neo segretario Pd corre maggiormente. E i vecchi protagonisti del teatro politico romano glielo stanno facendo capire.
Comunque il modo di comportarsi di Matteo Renzi potrebbe fare scuola e indurre cambiamenti importanti a livello del sistema politico-mediatico. Si apre sia un confronto tra campi di influenza (per dirla con Bourdieu), sia un confronto tra generazioni. Renzi di fatto sta chiedendo e operando perché quel processo di rinnovamento delle classi dirigenti, etichettato “rottamazione”, avvenga anche nel mondo mediatico.
L’altra faccia della casta o l’altra parte degli inquilini del Palazzo. I giornalisti – carta stampata e tv – sono di fatto parte organica della vicenda politica. Ne condividono i destini, sia gli splendori sia le miserie.
Molti di questi inquilini del Palazzo non sono altro che dei politici con altri mezzi, hanno realizzato le ambizioni politiche tipiche della loro generazione nel campo mediatico come surrogato della giovanile passione e, grazie a innegabili capacità professionali, si sono costruiti case matte spesso difficilmente espugnabili.
Da queste posizioni di potere anche loro, per la loro parte, sono diventati un ostacolo al rinnovamento della società italiana, rallentando quel processo di adattamento al tempo presente che viene spesso sbrigativamente indicato come cambiamento generazionale ma che in realtà è prima di tutto culturale.
Ecco, queste prime settimane di segreteria Renzi contengono anche questo ulteriore aspetto a mio parere molto positivo, seppur ancora dall’esito incerto.
Alcuni comportamenti di tutti i giorni, come non fare la segreteria a Roma e soprattutto farla a orari in cui le persone comuni vanno a lavorare, e costringere anche fisicamente i giornalisti a “rincorrere” i politici, assumono un notevole valore simbolico. E, per questo, ben venga riunirsi fuori dai luoghi presunti “sacri”.
La posta in gioco quindi è più alta e tocca un ganglio vitale degli assetti delle élite di questo paese. Alcuni dei giornalisti politici “romani” più autorevoli e anziani sembrano indispettiti da Renzi dal mancato riconoscimento di un ruolo conquistato in tanti anni di grandi cambiamenti sociali e tecnologici durante i quali il loro potere è accresciuto in modo speculare al declino dell’autoconside-razione del ceto politico.
I giornalisti e gli anchor(wo)men – affermati monopolisti della visibilità – si sentono sfidati dal giovane che non si rivolge a loro con il cappello in mano chiedendo il favore della ospitata. Renzi, checché se ne dica, a differenza di tutti i suoi competitori tranne Grillo, non deve molto agli spazi sui media “gentilmente concessi”.
L’attenzione dei media se l’è conquistata diventando di per sé degno di attenzione, qualcosa di cui non si poteva non parlare, anzi di cui si era costretti a parlare.
Se questa considerazione non è solo un wishful thinking, Matteo Renzi può contribuire a un riequilibrio dei rapporti di potere tra campo politico e campo mediatico. Ma questo vorrà dire (per lui e per i suoi collaboratori) anche non cedere alle lusinghe della visibilità, quella umanissima vanità dell’essere riconosciuti per strada.
Bisognerà trattenersi dal frequentare gli eventi mondani o il salotto di Vespa o partecipare troppo spesso a Otto e mezzo, specialmente senza essere in studio e poter interagire. Bisognerà che Matteo Renzi e tutti i suoi collaboratori accettino di andare alle varie interviste e talk show solo quando la pressione aumenta, quando si sono generate iniziative nella società tanto forti da diventare _newsworth, _ degne di attenzione dei media, come nel caso della bella intervista a Daria Bignardi all’indomani della direzione del Pd. Insomma, una sana quaresima mediatica (come insegnò in tempi ormai lontani il cardinale Martini) non farebbe male alla nuova generazione politica.
Si tratta di comprendere bene la grande differenza che c’è tra rispondere a una intervista che viene richiesta dal giornalista e una che viene invece richiesta al giornalista. I rapporti di forza si rovesciano. Considerare la politica come un agire comunicativo significa impegnarsi a diventare oggetto di attenzione per le cose che si fanno, non logorarsi rispondendo a domande che per la logica intrinseca dei media, per il ricatto dell’audience, devono andare a caccia della novità a tutti costi, della polemica e della contrapposizione.
Fonte: Europa Quotidiano
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