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Rp online - Le relazioni sociali nell'era dei Selfie

13/03/2015

Tutti ne parlano, tutti li fanno: il fenomeno dei selfie sembra non conoscere barriere coinvolgendo l’adolescente come il politico, uomini e donne, giovani e anziani in ogni latitudine del globo. Ma come nasce questo termine entrato nel lessico quotidiano e quale impatto ha sulle relazioni sociali? L’analisi di Valentina Citati per la rubrica Rp online.




Il termine selfie indica un “autoscatto fotografico generalmente fatto con uno smartphone o una webcam e poi condiviso nei siti di relazione sociale”. La definizione riportata non è di Wikipedia ma dellaTreccani.it lo inserisce proprio nella voce ‘neologismi’ a testimonianza della generale presa d’atto dell’ingresso del vocabolo nella lingua italiana (il vocabolario Zingarelli è stato il primo nell’autunno del 2014). La sua caratteristica peculiare, l’essere unicamente finalizzato alla condivisione sociale, ne spiega anche la nascita recente connessa con la diffusione dei siti di social networks nei primi anni duemila e l’introduzione nel 2012 dell’autoscatto frontale nell’iPhone4.

Le radici del fenomeno in realtà sono molto più antiche se si pensa alla moda di farsi ritrarre da pittori famosi o ai primi autoscatti con cui ha mosso i primi passi la storia della fotografia. Più di recente è necessario rimandare all’affermazione del network come nuova forma di organizzazione sociale centrata sull’individuo nelle società tardo moderne o post moderne che dir si voglia. In tale contesto si assiste alla progressiva emancipazione dell’individuo ‘riflessivo’ (Giddens, 1990) che si affranca dai legami tradizionali e assume su di sé il compito di definire la propria identità non più come ‘cosa data’ ma come ‘compito’, continuamente rivista e modificata alla luce di nuove informazioni raccolte e esperienze vissute (Bauman, 2000). Tutto ciò si traduce e viene supportato online con l’avvento del Web 2.0 (O Reilly Media, 2004), un diverso e rivoluzionario approccio filosofico alla rete che vede l’emergere proprio della sua dimensione sociale, di condivisione basata sulla collaborazione attiva degli utenti, trasformati da “utilizzatori passivi” in “autori attivi” di contenuti, messi a disposizione liberamente per chiunque ne abbia bisogno. Non è un caso che la copertina del Time dedicata alla persona dell’anno nel 2006, cogliendo questi mutamenti in atto, raffiguri un computer con la scritta sullo schermo You: Tu che controlli l’Età dell’Informazione. Benvenuto nel tuo mondo. I siti di social networks nascono in questo periodo e completano questo processo. Assumono, infatti, fin dall’inizio una forte caratterizzazione relazionale diventando ’l’estensione del nostro mondo sociale’ in cui al centro non è più solo e soltanto l’individuo emancipato suddetto ma anche la rete sociale di cui fa parte che diventa parte integrante della sua auto-rappresentazione (Donath, boyd, 2004).

Il selfie racchiuderebbe pertanto in sé tanto l’elemento della auto-espressione identitaria quanto quello della dimensione sociale e relazionale, attraverso un processo in cui l’identità proposta viene accettata, confermata e co-costruita dagli altri. Il report Lo Stato dei Selfie, recentemente pubblicato dall’agenzia di comunicazione internazionale Coney, mostra le dimensioni impressionanti raggiunte dal fenomeno: 93 milioni i selfie che vengono scattati ogni giorno, 154 milioni le volte che la parola selfie viene pronunciata sui social networks. Se Snapchat ha contribuito al dilagare della moda, in particolare tra i più giovani, sembra che l’approdo privilegiato dell’autoscatto sia Facebook (seguito da Instagram): vetrina per eccellenza dove farsi vedere e condividere ogni aggiornamento con la propria rete sociale. Non a caso la motivazione principale riportata dall’82% degli intervistati di questo sondaggio (condotto su 778 influencers online in vari paesi) sarebbe proprio il ‘mostrare qualcosa di nuovo’ declinato poi in sempre più numerose varianti: dal selfie turistico ai più recenti Hand selfies, Animal selfies, Kid selfie, etc. Inoltre è una pratica che richiede tempo se è vero quanto riportato da uno studio di The Body Shopsecondo cui le donne inglesi impiegherebbero circa un mese della loro vita per fare il selfie migliore (753 ore per la precisione!). Secondo il report, però, non si tratta solo di una moda ma di uno strumento di comunicazione interessante da comprendere e analizzare per professionisti e aziende. Ecco allora fioccare studi e consigli su come, dove e quando realizzarli per avere successo conquistando il maggior numero di like, commenti e condivisioni. Tra questi On.com, azienda produttrice dello strumento Belfiestick, ha prodotto una infografica in cui sintetizza i risultati dell’analisi di 50.000 foto generate dagli utenti. Si scopre così che le donne ne scatterebbero in media il doppio degli uomini e che i selfie che le ritraggono sarebbero maggiormente graditi e condivisi. Non mancano suggerimenti per la realizzazione: dai dettagli tecnici (luce e profondità) alle pose migliori.

Tanta attenzione genera anche perplessità e allarme rispetto all’uso eccessivo e alle sue possibili ricadute sulle relazioni sociali. Così l’estate scorsa, nel momento di picco di autoscatti, è nata la campagna Save Yourselfie (con l’hashatg #setiselfieticancello) che tentava in maniera ironica di sensibilizzare rispetto agli effetti indesiderati di un uso smodato di questa nuova pratica. Il messaggio del video era semplice e chiaro: postare troppi selfies avrebbe potuto portare i propri amici a bannare l’individuo troppo invasivo dalle loro timeline condannandolo all’invisibilità. I numeri del suddetto report di Coney dimostrano purtroppo l’insuccesso della seppur lodevole e simpatica iniziativa. Tuttavia le preoccupazioni non sono affatto cessate e più di recente si è tornati a segnalare gli effetti negativi dell’invasività di telefoni cellulari e smartphone sulle relazioni in presenza. L’istituto di ricerche di mercato e di opinione Forsa ha condotto una indagine che mostra gli europei come un popolo di iper-connessi, schiavi di aggiornamenti e notifiche tanto da riservare più attenzione al proprio cellulare che alla persona seduta di fronte. In altre parole saremmo più digitali ma meno sociali: il 39% degli intervistati (4 su 10) afferma di controllare sempre o spesso le notizie che arrivano sul cellulare anche quando in compagnia e quasi nella stessa percentuale (38%) si ammette di tenere il telefono sul tavolo quando si è seduti con altri. Ciò che emerge è quasi un paradosso: un bisogno di maggiore attenzione nelle interazioni in presenza sempre più ‘invase’ e disturbate dall’accesso always on al più ampio mondo sociale individuale attraverso i dispositivi mobili. Lafotografia pubblicata da un quotidiano nazionale che ritrae uno skipper troppo impegnato a chattare per accorgersi della enorme balena che gli passa di fronte è emblematica della tendenza sempre più diffusa a ‘perdersi’ nel proprio smartphone ignorando quello che accade nel mondo reale. Esagerazioni forse, che tuttavia segnalano dinamiche sociali da monitorare in particolare per chi deve comunicare professionalmente in uno scenario sempre più competitivo in termini di conquista dell’attenzione. Il crescente utilizzo simultaneo e sovrapposto di diversi siti di social networks (secondo il già citato Global Web Index un utente medio di Internet sarebbe iscritto a circa 6) e di svariati dispositivi tra tv, smartphone e tablet nonché l’impressionante quantità di contenuti che su queste piattaforme vengono continuamente prodotti e distribuiti sono parti integranti di questa epoca di ‘esuberanza informativa’ (Andrew Chadwick, 2009) e contribuiscono a generare l’overload informativo a cui siamo tutti sottoposti.

Si avverte perciò l’esigenza di adeguare e innovare codici di comportamento e regole di convivenza per ‘educare’ i cittadini digitali ad un uso corretto e consapevole dei nuovi strumenti espressivi che, ci piaccia o meno, entrano a far parte del vissuto quotidiano. Una sfida più che mai attuale a cui siamo chiamati in prima persona tutti noi comunicatori e professionisti delle relazioni pubbliche non solo sul piano lavorativo ma anche, e soprattutto, su quello umano e personale.

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