Ferpi > News > Se il corpo diventa messaggio e viaggia su un tweet

Se il corpo diventa messaggio e viaggia su un tweet

10/09/2014

L’uso del corpo come strumento di comunicazione è tipico dei media postmoderni e possiede una forza simbolica enorme. Le foto del cadavere di Davide Bifolco sul tavolo dell’obitorio però rappresentano un caso a sè. Se fino a qualche tempo fa un’operazione simile doveva passare il vaglio della sensibilità del giornalista, ora, con i social network non è più necessario. L’analisi di _Matteo Colle._

di Matteo Colle
A margine dei fiumi d’inchiostro che si riversano sulla vicenda della pubblicazione delle foto del povero Davide Bifolco sul tavolo dell’obitorio, provo ad abbozzare una riflessione breve partendo dal mio punto di vista di comunicatore. Lo faccio perchè decidere di postare le foto del proprio fratello cadavere su Facebook, non rientra dei comportamenti tipicamente legati al lutto, ma fa parte di una strategia di comunicazione precisa e preordinata.
Il corpo violentato serve per minacciare e avvertire, per dare un messaggio – per altro esplicitato anche verbalmente – alle istituzioni che devono “pagare” per quello che hanno fatto. L’ uso del corpo come strumento di comunicazione, il corpo che diventa messaggio, è tipico dei media postmoderni e non stupisce che sui social media venga utilizzato con tanta disinvoltura. In fondo, da un punto di vista concettuale, il dilagare del selfie e per altri versi del sexting, non è altro che la trasposizione suoi nuovi strumenti di un linguaggio già ampiamente consolidato in televisione e sulla carta stampata.
Chi si occupa di comunicare ha ben presente le parole di David Le Breton che nel parlare della desacralizzazione del corpo nella modernità (Antropologia del Corpo e Modernità, 2008), pone l’accento sul corpo come costitutivo dell’individuo e come un territorio sacro che seppur depotenziato riveste ancora una forza simbolica di portata inaudita. In politica, come ricorda chi ha vissuto l’era pre-televisiva, il corpo del leader (o del sovrano in altri tempi) era rivestita dell’aurea di sacralità che conferiva il potere.
Per vederlo, il corpo del leader, occorreva essere compresenti o, al limite, affidarsi alle foto (a questo serviva la foto del Presidente della Repubblica negli edifici pubblici). Oggi il corpo desacralizzato del leader è divenuto oggetto di uno scambio simbolico che ne ha sancito la morte (Boni F. Il corpo mediale del leader. Rituali del potere e sacralità del corpo nell’epoca della comunicazione globale,2002); del suo corpo sappiamo tutto, malattia, pulsioni, umori e afrori. Quindi perché stupirsi? Perchè la sorella di un ragazzino ucciso dalla forze dell’ordine (con dolo o per colpa conta poco in questa sede) dovrebbe essere da meno di chi fa la copertina di un qualunque magazine patinato e che non disdegna l’ostensione del corpo del politico o, più spesso della politica di turno.
Nella costruzione di una strategia di comunicazione volta a dimostrare la colpa delle forze dell’ordine, il corpo di Bifolco diventa il messaggio tanto quanto lo è stato quello di Cucchi e di Aldrovandi. Ciò che è diverso semmai è la capacità dei social di essere strumento di autocomunicazione di massa. Se fino a qualche tempo fa un’operazione comunicativa come quella della signora Bifolco doveva passare il vaglio della sensibilità della scelta del giornalista e dell’editore di stampa e tv, ora non è più necessario.
Così come l’ISIS usa il corpo decapitato per minacciare e lo fa senza filtri su youtube, la famiglia Bifolco grida vendetta su Facebook. A prescindere dal valore morale differente dei due esempi e del diverso impatto sull’opinione pubblica, entrambi sono il frutto della desacralizzazione di un corpo che si trasforma in messaggio per viaggiare su un tweet.
Fonte: MR Blog
Eventi