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Tik Tok & gli altri. Comunicare ed educare per un utilizzo corretto dei social

25/02/2021

Diana Daneluz

L’utilizzo corretto dei social da parte dei minori è una sfida che non si può perdere. Comunicando ed educando. Se ne è parlato lo scorso 22 febbraio durante l'evento organizzato dalla Delegazione FERPI Lazio.

“Tik Tok & gli altri. Come comunicare il giusto utilizzo dei social network” è il titolo del l’incontro organizzato online da FERPI Lazio lo scorso 22 febbraio, introdotto dal delegato Giuseppe De Lucia e moderato da Angela Tassone. L’idea era quella di mettere insieme tre ottiche: il punto di vista dell’Autorità regolatoria interessata, quello di una no profit che si occupa di infanzia da sempre e, dall’interno, quello del social network Tik Tok per provare a capire come sia possibile evitare le derive pericolose, e addirittura in qualche caso, come purtroppo di recente avvenuto, letali, per i minori che utilizzano questo e gli altri social network.

Si sono confrontati, così Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la Privacy, Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, e Federico Rognoni, Tik Tok Consultant and Creator. Che hanno concordato su un punto: Tik Tok (e gli altri social), ma Tik Tok in particolare perché così amato dai più giovani (anche se da ultimo sta prendendo piede il suo utilizzo anche dagli ultra-ottantenni e qualcuno di loro ha anche spiegato in rete perché) possono nascondere insidie, ma può essere anche un grande alleato per favorire la crescita formativa delle nuove generazioni.

C’è molto da fare. Così Giuseppe De Lucia aprendo l’incontro, consapevole come da parte dei minori soprattutto sia facile scambiare, attraverso lo schermo attraverso al quale fotografano, filmano, filtrano tutto, la vita virtuale per quella reale e cadere quindi preda di pericoli e insidie. Un lavoro pedagogico-educativo a partire dall’interno delle stesse piattaforme non è rinviabile. Angela Tassone ha ringraziato Guido Scorza per la sua quotidiana attività anche di comunicazione trasversale  messa in campo per favorire la diffusione di cultura sui social non solo tra i minori, ma tra gli adulti e i professionisti della comunicazione e dell’informazione e ha dato inizio con lui alla discussione. Guido Scorza, partendo proprio dal commento dei luttuosi fatti noti, ha inteso prima di tutto ribadire come non ci sia alcuna volontà da parte della Autorità e sua personale di criminalizzare i social, né Tik Tok né gli altri, perché “i social sono un po’ la società stessa. Quello che va criminalizzato è piuttosto l’uso distorto di tali social”. “E non è solo un tema – ha detto – di età degli utenti, su cui pure l’Autorità è intervenuta con l’invito a Tik Tok a riservare l’uso del social ad un pubblico più adulto, come peraltro previsto dalle sue stesse logiche, studiate per persone più grandi. Il tema è che tra i tanti parchi dei divertimenti che la società offre, c’è quello rappresentato dalla dimensione digitale, nella quale esistono attrazioni adatte a chiunque ed altre limitate a chi abbia raggiunto una certa età. Così è Tik Tok, una piattaforma le cui logiche i gestori stessi dicono essere studiate per gli ultra 13enni”. La pandemia, ha ricordato Scorza, ha da un lato avuto il merito di far avvicinare al digitale una larga parte di popolazione ancora analfabeta in questo senso, il 50% della popolazione italiana nel 2019, ma nel numero record di italiani contaminati dalla dimensione digitale, molti – e i minori in primis – non erano e non sono davvero preparati al dark face della rete e sono stati quindi vittime di un altrettanto numero record di frodi informatiche o adescamenti online, come da ultimo la cd. 'Silhouette Challenge', della quale arrivano dall’Europa segnalazioni crescenti, una sfida a mostrare la silhouette più sensuale, giocando su luci e ombre e credendo di restare nell’anominato più completo, attraverso la quale si rischia invece di condividere la propria immagine nuda e la propria identità senza volerlo. Che fare? Posto che quello che preoccupa l’Autorità non sono i social, ma l’uso di essi da parte di persone non adatte a quei social, la risposta non può essere, o non può essere soltanto, offerta a suon di provvedimenti e sanzioni – e Scorza lo afferma dall’interno di una Autorità regolatoria –, ma assolutamente di tipo culturale: una sfida educativa, che richiederà un lavoro di anni da parte delle famiglie, delle scuole, delle istituzioni, ma che si vincerà soprattutto se giocata dall’interno stesso dei diversi social, dai quali far circolare supporto, aiuto e “pillole di consapevolezza”, partendo però dal punto fermo che “non tutti i social sono a prova di bambino”.

Nel dialogo la voce di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, che ha voluto innanzitutto raccontare le potenzialità di questo e di tutti i social network a sostegno delle attività umanitarie. Per questo l’organizzazione che rappresenta ha accolto e si è servito di Tik Tok come ponte per raggiungere e sensibilizzare nuovi target, non solo sulle attività di Unicef nel mondo, ma anche e proprio,  ad esempio, sui temi del bullismo e del cyberbullismo. Pur senza la capacità di ingaggio degli influencer più famosi, l’attività sui social ha tuttavia permesso ad Unicef un’attività di fundrising senza precedenti. Quindi molto di positivo, per Iacomini, se di Tik Tok si sfruttano anche i linguaggi e le ponzialità educative per raggiungere i più giovani e se si fa corretta e costante informazione su un suo giusto utilizzo.

Federico Rognoni, dal canto suo, possiamo definirlo come un giovane “illuminato”. Primo e convinto assertore della necessità di veicolare “contenuti di qualità” su Tik Tok e anche lui sicuro che una maggiore e migliore informazione sul social anche da parte della stampa – che, ha detto, spesso ne parla e ne scrive senza nemmeno aver scaricato l’app – potrebbe aiutare la difesa degli utenti. Certamente, ha assicurato, Tik Tok – e tutto è naturalmente migliorabile e perfettibile – sta mettendo in campo paletti e vincoli, algoritmi capaci di bloccare contenuti inappropriati una maggiore attenzione alla protezione dell’utente, strumenti per i genitori che permettano loro di controllare l’uso del social da parte dei loro figli. E questo non tutti gli altri social lo fanno. Tuttavia è indubbio che alcune “challenge” riescano a superare tali vincoli e a raggiungere e provocare comportamenti sconsiderati da parte dei più piccoli. Anche per Rognoni serve “maggiore consapevolezza” nei minori, ma anche e soprattutto negli adulti, maggiore controllo, minore superficialità. E poi “non solo balletti o video per suscitare il riso”. La sfida per un cambio di passo passa anche e soprattutto per i contenuti. Tik Tok ha creato anche una sezione apposita di “learning” e raccontando la propria personale esperienza di Creator, lui stesso ha realizzato progetti educativi per i ragazzi, da ultimo, ad esempio, sui comportamenti e gli atteggiamenti più corretti da assumere durante la pandemia. Utile, ed è iniziato da parte di Tik Tok e sua personale un percorso in questo senso, una rete con le istituzioni scolastiche e con le Università. Tuttavia, ha avvertito Rognoni, qui la burocrazia non aiuta e imbriglia la buona volontà di tali istituzioni in lentezze che non giovano ad una risposta educativa e formativa che invece, per essere efficace, deve essere pronta ed immediata. Oggi.

Anche FERPI ha un compito in questo percorso. Occasioni di confronto come questa tengono accesa la luce su un fenomeno odioso che va contrastato con ogni mezzo. Il nostro è quella della comunicazione. Più informazioni chiare, più trasparenza, su luci ed ombre di Tik Tok e dei social network, può essere il nostro contributo. La rete è, come tutte le reti, bucata. Le regole servono, ma come si è detto non bastano ad imbrigliare le sue distorsioni, che sfuggono. Come già per il contrasto alle fake news sul web, la chiave di volta – come sempre – è la conoscenza. “Usare i social non significa conoscerli”, come ricordava Scorza. Serve una diffusa e capillare digital education, nel breve, medio e lungo periodo, per un uso consapevole di tutte le tecnologie. E contribuire a conoscere e a far conoscere è tra i compiti, forse il compito più bello, della (buona) comunicazione.

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