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Una vigorosa turbolenza globale scuote le relazioni pubbliche dalle fondamenta

13/01/2004

Le possibili risposte della comunità professionale, scientifica, educativa Editoriale di Toni Muzi Falconi

Alcune correnti forti investono, ai primi del 2004, la comunità mondiale delle relazioni pubbliche (scientifica, professionale, educativa), in uno scenario che vede i processi di globalizzazione esaltare -come mai in passato- anziché ridurre, le diversità (A. Giddens- Madrid- congresso dircom- 2003), grazie soprattutto a strumenti e canali di comunicazione sovente pervasivi e crescentemente lesivi della capacità di attenzione e di concentrazione dei singoli (nel 2003 ciascun essere vivente è stato soggetto ricevente e trasmittente di 800 milioni di bit comunicativi). La comunicazione, come è sempre stato in passato, è consustanziale alla crescita individuale delle persone oppure inizia ad esserle di ostacolo? Quale è il ruolo svolto dai relatori pubblici? 1.La prima corrente forte è indubbiamente costituita -sia pure con modalità e fasi evolutive diverse Paese per Paese- da una crescente pressione esterna (oggi leggermente avvertibile perfino all'interno della comunità professionale), affinché le relazioni pubbliche vengano sottoposte a verifica e controllo a tutela dell'interesse pubblico. L'intensità con cui -entrati in crisi i tradizionali soggetti generali di mediazione degli interessi- tutte le organizzazioni private, pubbliche e sociali comunicano per far prevalere il rispettivo punto di vista su questioni specifiche e generali di loro interesse, induce inconfutabilmente a un crescente etero-orientamento delle opinioni, dei comportamenti, dei consumi e delle decisioni di ciascuno di noi. E' la questione che i critici definiscono ‘spin doctoring' (negli anni 50 e 60 si parlava molto dei ‘persuasori occulti' v. packard "the hiddem persuadors") e che nasce dalla presenza ovunque diffusa di professionisti esperti nell'attribuire (e abilmente diffondere) distorsioni di quella che gli stessi critici percepiscono essere ‘la realtà', e che di norma operano per interessi forti influenzando i processi decisionali pubblici e le decisioni di consumo e di comportamento delle persone, spesso senza neppure che questi ne siano consapevoli.Addirittura c'è chi sostiene che le relazioni pubbliche siano la più perversa e la più devastante delle tecnologie inventate dal genere umano nel ventesimo secolo.("Of the many horrifically destructive technologies of the 20th century, arguably the most dangerous of all is public relations." So says Kenny Ausubel, founder of Bioneers, "an educational network of visionaries for the environment," (da www.holmesreport.com)).Naturalmente è una interpretazione estrema e manichea, lontana dalla realtà, ma non certo da quella mediatica (che finisce per formare l'opinione dei più). ‘Uomo morde cane' è infatti l'imperativo del sistema dei media in tutti i Paesi del mondo ‘libero' e -in questo caso specifico- va anche aggiunta l'aggravante della (inconsapevole) diffusa sindrome per cui i giornalisti non gradiscono far sapere ai lettori che, da molti anni ormai in ogni settore dell'informazione, i professionisti delle relazioni pubbliche sono la fonte prevalente cui si rivolgono per svolgere il loro lavoro.Sono pochi invece e comunque scarsamente amplificati, ad argomentare:

che le relazioni pubbliche, come qualsiasi altra attività professionale, vengono abitualmente messe al servizio di interesse di ogni natura, privati ma anche pubblici e sociali (in Italia, ad esempio, sui 70 mila relatori pubblici –dato relativo al 2001- oltre il 60% lavora per organizzazioni pubbliche e sociali e, almeno nella stessa percentuale, contribuisce all'indotto economico complessivo);
che gli stessi critici della professione usano le relazioni pubbliche proprio per attirare l'interesse dei media su quelle critiche;
che sarebbe oggi improponibile pensare allo sviluppo di una democrazia senza che a ciascuno sia consentita la facoltà di argomentare interessi e opinioni di fronte al tribunale dell'opinione pubblica, insieme al diritto di contribuire alla formazione delle decisioni pubbliche: finalità, queste, che rappresentano l'essenza di una parte perlomeno significativa delle attività dei relatori pubblici.
2.La seconda ‘corrente forte' è rappresentata dalla impetuosa domanda espressa dai più consapevoli committenti delle relazioni pubbliche (organizzazioni pubbliche, private e sociali) affinché i professionisti (interni ed esterni) si rendano maggiormente ‘rendicontabili' (nel senso di accountable) nel loro operare quotidiano, gestendo con attenzione, sobrietà e accuratezza le sempre più ingenti risorse che vengono loro assegnate. (dopo un breve rallentamento intervenuto alla metà degli anni novanta, in tutto il mondo la crescita degli investimenti in relazioni pubbliche, sommando le organizzazioni pubbliche, private e sociali, ammonta –dati 2001- a qualcosa come 400 miliardi di euro).Il risultato più nuovo, fra i molti e interessanti emersi della recente ricerca con la quale l'IPR inglese (http://www.ipr.org.uk/unlockpr/index.asp) ha verificato lo ‘stato' delle relazioni pubbliche in quel Paese, è la esplicita critica ai relatori pubblici di non saper gestire con la dovuta efficacia le risorse investite. Non può essere del resto un caso che l'altro IPR, quell'Institute for Public Relations americano ( www.instituteforpr.com), fondazione promossa dall'Università della Florida con molti e assai rappresentativi professionisti e accademici, abbia deciso di dedicare un larga parte della propria attività proprio per definire standard e metodologie condivise e applicabili per la misurazione e la valutazione dei risultati delle attività di relazioni pubbliche. Se è vero, infatti, che le relazioni pubbliche sono, al pari altre, una attività di direzione, ne consegue che le risorse impegnate vengano, e con modalità convincenti, valutate e misurate in funzione degli obiettivi perseguiti rispetto all'efficienza e all'efficacia delle azioni realizzate. Nelle migliori organizzazioni (ma sono sempre una piccola minoranza) gli aspetti più quantitativi della misurazione (efficienza) hanno ormai piena cittadinanza con la misurazione degli output. Più complessa è invece è la valutazione degli outcome (efficacia), anche se non vi sono più alibi, poiché la questione è stata ampiamente e convincentemente trattata a livello di ricerca a livelli del tutto analoghi alla valutazione dei risultati del lavoro di altre funzioni direttive. In sostanza la richiesta crescente di accountability nei confronti delle relazioni pubbliche che emerge dai committenti potrebbe essere, almeno parzialmente, soddisfatta sol che gli operatori si convincano a prestare alla questione una attenzione meno distratta. 3.La terza ‘corrente forte' deriva anche (ma non solo) dalla crescente tendenza delle organizzazioni (private, ma anche pubbliche e sociali) ad adottare e rendere visibili politiche di responsabilità sociale. Questa tendenza, inconfutabilmente attribuibile alle forti pressioni esterne verso i comportamenti delle organizzazioni e le loro pratiche di rendicontazione, ha offerto al professionista di relazioni pubbliche una esplosiva opportunità di marcare un ruolo strategico. E questo, sia rispetto alla efficace comunicazione interna ed esterna di tali politiche e comportamenti, sia -e soprattutto- al compito di interpretare per le coalizioni dominanti dell'organizzazione le aspettative dei pubblici influenti prima che siano definite le stesse politiche e poi, nel corso della loro implementazione. Questo fenomeno della Csr ha indubbiamente favorito una forte accelerazione nella consapevolezza fra i relatori pubblici di quella che, a 20 anni esatti di distanza dalla sua prima formulazione, è divenuta la teoria più reputata, anche se ancora assai poco praticata. Parlo della two way symmetric theory sviluppata e studiata da James Grunig dell'Università del Maryland (il volume finale è Excellent Public relations and Effective Organisations - 2002- Grunig, Grunig, Dozier), secondo la quale una organizzazione che desidera raggiungere con efficacia i suoi obiettivi ascolta i suoi pubblici influenti prima di definire gli obiettivi che intende perseguire, sviluppando con gli stakeholder relazioni il più possibile simmetriche e a due vie al fine di incorporare in quegli obiettivi le laspettative che non contrastino esplicitamente con le finalità dell'organizzazione stessa. E questo anche per accelerare quei tempi di decisione e di attuazione organizzativa che -man mano che cresce il numero dei soggetti che, a vario titolo, pretendono di intervenire- diventano sempre più lunghi e incompatibili.Secondo questa interpretazione -che considera la creazione, lo sviluppo, il mantenimento e il governo della relazione come l'elemento di maggiore valore aggiunto che un relatore pubblico possa dare a una organizzazione- la fase dell'ascolto dei pubblici influenti assume un valore integrato e continuativo del processo comunicativo, che a sua volta diviene strutturalmente strumentale allo sviluppo della relazione.L'estensione logica di questa teoria, come si è accennato, porta alla più ampia issue della governance delle organizzazioni complesse. I processi della decisione e dell'implementazione si fanno sempre più complessi perché sono saltate, da un lato, le gerarchie che hanno determinato l'appiattimento degli organigrammi e, dall'altro, le mediazioni dei grandi soggetti sociali tradizionali. Il fenomeno della moltiplicazione degli stakeholder porta alla paralisi. Come acutamente ha colto di recente il Presidente Italiano Ciampi, la risposta alla perdita di competitività di quel Paese sta anche ( e forse soprattutto) nella inadeguatezza delle organizzazioni a ‘fare sistema' e ad attirare e mantenere la indispensabile ‘fiducia' dei pubblici influenti. Quindi, l'applicazione di modalità efficienti ed efficaci che consentano alle organizzazioni di incorporare le aspettative dei pubblici influenti senza correre il rischio della paralisi attuativa è esattamente la questione che un sistema di governo delle relazioni può contribuire a risolvere. 4.La quarta ‘corrente', infine, è tutta interna alla comunità delle relazioni pubbliche. A fronte dei 3 milioni e rotti di professionisti nel mondo, non più del 10% fa parte di associazioni professionali. Se escludiamo la Nigeria e il Brasile, dove per essere professionisti di relazioni pubbliche è necessaria una licenza di Stato, in tutto il resto del mondo l'accesso alla professione è libero e non esiste regolazione erga omnes. Con il risultato che soltanto il 10% circa dei professionisti (quelli che fanno parte di associazioni) è tenuto a rispettare standard, vincoli e obblighi di comportamento raccomandati dalle associazioni professionali. In altre parole, la comunità è debole, scarsamente rappresentata e rappresentativa, continuamente esposta, spesso impropriamente, quando con frequenza crescente il sistema dei media rivela al pubblico uno scandalo o un caso in cui un relatore pubblico si trova protagonista o coinvolto in qualche attività poco commendevole, contribuendo in tal modo ad aggravare la persistente percezione negativa della professione. Che fare? Scartando l'ipotesi impraticabile, insostenibile e corporativa, di estendere l'obbligo di ‘licenza' ad altri Stati, non resta che operare affinché un numero sempre più ampio di professionisti entri a far parte delle associazioni professionali da un lato, e in parallelo perché governi, istituzioni e authority regolino erga omnes quelle specifiche pratiche delle relazioni pubbliche che producono un maggiore impatto sulla decisione pubblica e sull'interesse pubblico (dalla lobby alla comunicazione politica, da quella finanziaria a quella della salute).----Se queste sono le quattro ‘correnti forti', non si possono tacere almeno altrettanti ‘venticelli', forse di minore impatto generale, ma che contribuiscono comunque a rendere il mare delle relazioni pubbliche assai frastagliato agli inizi di questo 2004.

A partire dalla rilevanza assunta nella pratica quotidiana di ciascuno delle tecnologie informatiche, ormai insostituibili e straordinaria chiave di volta nella storica lotta dell'uomo contro il tempo e contro lo spazio paurosamente accelerata dalla globalizzazione (ancora A. Giddens nella lecture citata prima in cui sostiene che nelle svolte epocali della storia dell'uomo soltanto la discontinuità indotta dalla globalizzazione ha la comunicazione come detonatore centrale e trainante).Se è vero che le relazioni pubbliche hanno a che fare con l'aiutare le organizzazioni a governare i loro sistemi di relazione con i pubblici che influiscono sugli obiettivi perseguiti, e se è vero che gli aspetti relazionali prevalgono ormai -anche come creazione di valore percepito- su quelli propriamente e tradizionalmente comunicativi; è altrettanto vero che l'ambiente di Internet costituisce un potenziale immenso di relazione che rimane tuttora inesplorato. Molte infatti sono le comunità di successo ove i partecipanti si relazionano fra loro on-line, ma nessuna di queste ha finora mostrato di possedere standard duplicabili che possano essere applicati da altri con verosimili probabilità di ripetizione del successo.
E, sempre a proposito di tecnologie informatiche, appare ricco di prospettive l'avvio del programma internazionale per la creazione di XPRL (extensible public relations language. www.xprl.org), un linguaggio informatico universalmente applicabile che consentirà un significativo taglio alle tante operazioni ripetitive liberando tempo e testa ai professionisti per attività maggiormente brain intensive. Soprattutto porterà a un traguardo sempre auspicato ma mai raggiunto dai relatori pubblici più consapevoli: la definitiva condivisione di una lingua professionale comune in tutto il mondo.
Un'altra variabile importante è rappresentata dalla palese esplicitazione del divario fra il livello qualitativo della ricerca, l'adeguatezza dei percorsi superiori di educazione e le aspettative dei professionisti. Se è vero che nella gran parte dei Paesi solo da pochissimi anni le Università laureano giovani in relazioni pubbliche, è anche vero che i numeri sono divenuti impressionanti e che i pochissimi docenti sembrano o inadatti a facilitare l'ingresso dei giovani sul mercato, oppure impreparati a trasferire ai giovani le complessità crescenti della materia. Se a questo si aggiunge che i ricercatori continuano comunque a scarseggiare anche perché i professionisti rimangono scettici e non si fanno convincere a investire in ricerca, si può ben comprendere la necessità di una rilevante discontinuità che si mostri capace di invertire in virtuoso questo triangolo fra professionisti, educatori e ricercatori che oggi appare perverso.Va aggiunto che, particolarmente negli ultimi tre/quattro anni e soprattutto fuori dagli Stati Uniti da sempre il Paese ove la ricerca sulle relazioni pubbliche è stata più intensa e che ha diffuso ovunque un modello operativo orientato alle relazioni con i media e la decisione pubblica finalizzato più alla persuasione che non al dialogo- si è sviluppata una forte ondata di ricerca e di pubblicazioni orientati a descrivere modelli diversi (europei, asiatici e africani) di interpretazione e di pratica delle relazioni pubbliche assai più orientati alla ‘sfera pubblica' (J.Habermas) (l'esempio più completo e interessante è il volume Global Public Relations Handbook di Sriramesh e Vercic- 2003). L'implicazione è che nessuno -anche se opera in una piccola organizzazione, in un piccolo territorio di un piccolo Paese- può prescindere dal fatto che le relazioni pubbliche sono per definizione globali proprio perché si propongono di migliorare sistemi di relazione fra soggetti diversi. Di qui l'esigenza di linee guida generali condivise a livello mondiale e di applicazioni specifiche adattate alle realtà locali (opera immane e complessa che si è assunta la nuova Global Alliance for Public Relations and Communications Management, ombrello che comprende a fine 2003 una sessantina di associazioni di altrettanti Paesi in rappresentanza di oltre 150 mila professionisti www.globalpr.org ).
Così come comincia a scuotere la storica subalternità culturale ed economica delle relazioni pubbliche alla pubblicità, il forte argomento che per valutare numero dei relatori pubblici nel mondo e dimensione dell'indotto economico apportato, occorra abbandonare il criterio di valutazione di stampo capital intensive tipico della pubblicità, censedno i professionisti (stimati in 3 milioni a fine 2001), attribuendo loro un costo lordo medio annuo e moltiplicando quel costo per tre. Così facendo, se ne può verosimilmente desumere che l'indotto mondiale annuo delle relazioni pubbliche nel 2001 supera i 400 miliardi di euro e, in Italia, gli 11 miliardi.
Queste ‘correnti' e questi ‘venticelli', insieme a tante altre variabili, si intrecciano per creare una vigorosa turbolenza che scuote dalle fondamenta una professione nata agli inizi del 900 negli Stati Uniti, che si è via via diffusa in tutto il mondo ove esiste un barlume di democrazia, economia libera e divisione dei poteri, e si trova oggi al crocevia ove comunità economica, comunità politica e comunità dei media si incrociano ogni giorno e interagiscono per formare e determinare l'interesse pubblico e l'azione dei mercati.
Così come non esiste organizzazione non impegnata in attività di relazioni pubbliche, allo stesso tempo non esiste una interpretazione condivisa su quali possano o debbano essere i confini, i limiti e i vincoli oltre i quali il loro esercizio da lievito della democrazia si trasforma in ostacolo. Da qui l'assoluta e urgente necessità che sia la stessa comunità delle relazioni pubbliche -con modalità esplicite, socialmente e rendicontabilmente (sempre nel senso di accountability) responsabili- ad assumere il ‘governo' di questa turbolenza per raggiungere un punto di equilibrio, condiviso con i pubblici influenti, capace di assicurare a ciascuno titolarità, diritto e, ove necessario, agevolazione per argomentare opinioni e posizioni di fronte ai tribunali dell'opinione pubblica e dell'interesse pubblico, e al tempo stesso assicuri ai professionisti che svolgono questa attività a tempo prevalente e in favore di organizzazioni di ogni natura regole, linee guida e terreni operativi pienamente sostenibili e non lesivi dei diritti altrui. La democrazia non può vivere e prosperare senza relazioni pubbliche, ma la democrazia può anche ammalarsi di relazioni pubbliche: tutto dipende dai comportamenti degli operatori e dalla vigilanza dei pubblici influenti...(tmf)
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