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Emergenza, Resilienza e Partecipazione

21/10/2016

Emergenza, Resilienza e Partecipazione sono state le parole chiave dell'incontro “L'apporto della comunicazione nei processi di ricostruzione delle comunità in emergenza”, promosso da Ferpi lo scorso 14 ottobre in occasione dell’’Assemblea ANCI di Bari. Nel panel Letizia Di Tommaso, Giulia Pigliucci, Massimo Alesii e Toni Muzi Falconi.

“L'apporto della comunicazione nei processi di ricostruzione delle comunità in emergenza” è il titolo del seminario promosso da Ferpi lo scorso 14 ottobre in occasione dell’’Assemblea 2016 dell’ANCI che si è tenuta a Bari - Fiera del Levante dal 12 al 14 ottobre.

All’incontro hanno partecipato  Letizia Di Tommaso, Relazioni Esterne CISOM Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, Giulia Pigliucci, Ufficio Stampa FOCSIV – Volontari nel Mondo, Massimo Alesii, Owner A.G.T. Communications e coautore del libro “Disastri Naturali: Una Comunicazione Responsabile?” e Toni Muzi Falconi, Senior Counsel Methodos.

Come hanno sottolineato tutti i partecipanti all’incontro, il recente terremoto nel Centro Italia ha ribadito la centralità della comunicazione, della partecipazione e del coinvolgimento per sviluppare una cultura della resilienza che vada oltre la semplice gestione dell’emergenza ma costituisca parte del processo di apprendimento delle comunità. In questo incontro Ferpi ha quindi ribadito la responsabilità sociale dei professionisti delle Relazioni Pubbliche italiane impegnati su vari scenari, nazionali e internazionali.

A coordinare il tavolo degli interventi Letizia Di Tommaso, Consigliere nazionale Ferpi e Relazioni Esterne del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, che ha approfondito la comunicazione d’emergenza sullo scenario sismico di Amatrice: "Comunicare l’emergenza non vuol dire soltanto fare una fotografia di un determinato evento catastrofico, raccontarne i primi momenti e gestire la crisi. Serve anche a comunicare con i cittadini, informarli di quanto sta accadendo, dialogare con le istituzioni che si trovano a dover affrontare una situazione non comune alla quale spesso non sono preparati. Fondamentale sin dai primi momenti monitorare la rete e ascoltare voci istituzionali e di cittadini che necessitano di aiuto e sostegno. L’ultimo sisma tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo ha lasciato segni pesanti sia sul territorio che in termini di vite umane,  nonostante la macchina dei soccorsi sia partita quasi in contemporanea della prima potente scossa delle 3.36 del 24 agosto. Da allora più di 10.000 scosse si sono susseguite ma questo non ha certamente impedito ai soccorritori e ai media di essere immediatamente sul posto e rimanere fino a questi giorni in cui si cerca di accompagnare gli ultimi abitanti in residenze consone al clima rigido del periodo. Più di altre volte la relazione con il cittadino è stata profonda ed importante, il terremoto ai tempi della rete spaventa ancor di più perché porta a rivivere un già vissuto, più o meno prossimo, di una sequenza di terremoti devastanti molto ravvicinati nel tempo, tutti vissuti nel frenetico scambio di informazioni, che lo hanno trasformato in un sotto a chi tocca perpetuo.

Nei panni dei terremotati ciò amplifica la paura di un già vissuto, non sulla propria epidermide, ma sulla pellicola di sovrabbondanza mediatica di cui si sono vestiti ed ora temono quanto già subìto da altri, in un ripetersi continuo di situazioni fin troppo analoghe. Nel caso del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta sono i volontari le prime antenne sullo scenario emergenziale ed è su un doppio livello che la comunicazione si muove costantemente: emergenza e organizzazione, nelle prime 48 ore occorre creare un piano operativo in cui chi è sul posto informa costantemente e riporta le informazioni all’ufficio comunicazione per creare una relazione continua con i media e con gli stakeholder. Le squadre specializzate e formate da sanitari, soccorritori e psicologi diventano portavoce per i media, coordinati con brief costanti e aggiornati riguardo la situazione. Fondamentale essere sul posto per analizzare direttamente lo scenario e gestire la comunicazione post emergenziale delle prime ore, creare dalla loro prima esperienza le storie utili a raccontare quanto sta accadendo, cosa si sta facendo e la situazione generale.

L’assistenza alla popolazione e le attività emergenziali rinforzano lo storytelling e aiutano i media a tenere alta e costante l’attenzione sull’emergenza, ESSSERCI vuol dire prendersi cura di tutti. Le storie nella storia per arricchire d’informazioni e creare una comunicazione costante. Conclusa la prima fase, dove la priorità è salvare vite umane e ripristinare una condizione di sicurezza generale sul territorio, le relazioni con gli stakeholder divengono fondamentali al fine di facilitare la comunicazione e continuare a risolvere le criticità. Sono trascorsi due mesi dal primo evento sismico non si parla più di prima emergenza ma la situazione è ancora complessa e necessita di monitoraggio costante".

Giulia Pigliucci ha approfondito le emergenze internazionali e post emergenza.

"Alcune giornate proclamate dalle Nazioni Unite, come il 13 ottobre, hanno la capacità di mettere in evidenza alcune situazioni che molto probabilmente non avrebbero la giusta considerazione; tra queste la Giornata Internazionale per la riduzione del rischio da disastri naturali, proclamata per la diffusione delle conoscenze e della consapevolezza sull’importanza delle pratiche di prevenzione e mitigazione.

I dati del 2015, secondo il Rapporto “Emergenze e prevenzione: prospettive di resilienza” di AGIRE – Agenzia Italiana Risposta alle Emergenze, hanno registrato 346 catastrofi naturali che hanno colpito oltre 98,6 milioni di persone, causando 22.773 morti e danni per un ammontare complessivo di 66,5 miliardi di $. Il terremoto in Nepal, che ha provocato 9.046 morti, è stato uno dei disastri più costosi, con oltre 5 miliardi di $ di perdite riportate.

Per chi si occupa di gestione della comunicazione in caso di emergenze umanitarie non può non tener conto dell'importanza che vi sia, presso il grande pubblico, una maggiore consapevolezza sul costo, in termini di vite umane e di beni materiali, e sulla ricaduta, a medio e lungo termine, di questi sulla comunità e il territorio coinvolto. Così come non può, nel caso si lavori per un ONG – Organismo non Governativo che operi da tempo con interventi specifici e strutturati nel Paese, non intraprendere azioni volte al coinvolgimento, sul piano della comunicazione, della popolazione su quanto si sta ricostruendo e sulla capacità delle persone di concepire resilienza, importantissimo soprattutto nel caso di eventi bellici.

Al momento dell'emergenza sia che sia questa di origine naturale – terremoto, vulcani, meteorologico, dissesto idrogeologico, climatologico – o causato da guerra, come per l'odierna crisi del Kurdistan, il volontario, nel caso il comunicatore non possa essere sul posto, diviene antenna, megafono e riferimento per i media. Si tratterà di costruire con il volontario in tempo reale, fusi orari consentiti, comunicati e storie che possano far diventare quello un punto di riferimento e voce per l'informazione dal posto e, al contempo, consente di accreditarsi nel lungo periodo come fonte autorevole e veritiera. Tutto ciò è ancora più prezioso sul piano del fund raising, infatti ciò consente di allargare il bacino dei possibili donatori.

Dal altro canto, va tenuto conto che a monte di questa azione di comunicazione chi si occupa di questo settore deve aver costruito, nel tempo, contatti e relazioni con i giornalisti e i media, in generale, tali che si sia già accreditati presso le diverse testate che siano queste cartacee, televisive, radiofoniche o si faccia riferimento ai social".

Massimo Alesii si è soffermato sul lavoro svolto dal terremoto del 2009 fino ad oggi e culminato nel libro "Disastri Naturali: Una Comunicazione Responsabile?" diretto dal collega Biagio Oppi e curato da Stefano Martello.  Cosa accade quando una calamità naturale colpisce un determinato territorio? Esiste una griglia comportamentale di condotte virtuose capaci di assicurare la pronta ripresa sociale ed economica di quel territorio? È possibile sviluppare una narrazione della calamità e della comunità che salvaguardi la reputazione del territorio? E che ruolo riveste o può rivestire la comunicazione in questo processo multidisciplinare? Originando dagli esempi dei terremoti che hanno colpito L’Aquila e l’Emilia- Romagna – e dai due differenti approcci gestionali e comunicativi che ne hanno caratterizzato il processo di ripresa, Massimo Alesii ha esposto brevemente attraverso una cronistoria di quasi otto anni di esperienza vissuta sul campo all’Aquila, le tappe di una possibile metodologia di supporto alle comunità colpite che si di stimolo all’attivazione di processi resilienti di rinascita e ricostruzione di comunità.

A concludere i lavori Toni Muzi Falconi che ha delineato per punti i concetti di partecipazione inseriti in un progetto che analizzi la percezione dei rischi da parte dei cittadini.

“Penso che non sia utile continuare a parlare. Come abbiamo fatto finora, di catastrofi ‘naturali’. Frane, alluvioni, terremoti hanno di naturale quanto ne hanno problemi, sentimenti, idee. Anche queste si naturali, ma create dall’uomo. Nessun alibi.

Nei giorni scorsi e in preparazione del prossimo 4 novembre (50esimo anniversario dell’alluvione di Firenze) il Comitato Scientifico Internazionale, istituito a suo tempo, ha redatto il suo rapporto finale.

Due cose importanti:
1. i cittadini di Firenze e della Toscana non hanno adeguata comprensione della dimensione e dell’impatto di una nuova alluvione;
2. non si può continuare ad attendere una nuova ondata per avere una ragione sufficiente a ridurre il rischio

Il rapporto si conclude con la frase ‘l’orologio scandisce i secondi’.

Non abbiamo certo bisogno di mostrare le infinite statistiche internazionali per sapere che -fra frane, alluvioni e terremoti- il nostro è il Paese più a rischio di tutta Europa

Immaginiamo che, per ogni Regione, a un campione rappresentativo di 1000 cittadini (secondo modalità da definire) si chieda di elencare tutte le possibili crisi. E’ verosimile che ne vengano citate almeno 100.
Se poi si sottopongono quelle 100 ipotesi a 20 esperti, è verosimile che con alcune rimozioni e alcune aggiunte, si arrivi a 50 opzioni di rischio, da ridurre ulteriormente a 20 incrociando (sempre secondo gli esperti) probabilità di accadimento e entità del danno sociale, ambientale, economico, culturale.

Poi per ognuno dei fattori di rischio, regione x regione, si produce un piano operativo e continuamente aggiornato di pre-sensibilizzazione di istituzioni, imprese, comunità e cittadini opportunamente segmentati….
Un piano che sia capace anche, utilizzando le tecniche di ‘nudging’ (spinta gentile), di sviluppare cultura di resilienza, rafforzamento del capitale sociale e consapevolezza del valore dei beni culturali del territorio

E, per ciascuna regione viene istituito un monitoraggio coerente anche a livello nazionale capace di valutare, anno x anno, la crescita degli indici relativi di consapevolezza degli italiani .

Non ci vuole molto di più: una idea, una volontà, persone competenti, coinvolte e appassionate. Le idee le abbiamo chiare, i partner per farlo ci sono, la volontà c’è… l’Anci sarebbe preziosa”.

 

 

 
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