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Il Lobbista: un ingranaggio fondamentale del processo democratico

#FERPISideChat

27/05/2024

Giuseppe de Lucia

Una nuova intervista per la rubrica FERPISideChat. Oggi è il turno di Michele Vitiello, Direttore Fondazione Ottimisti e Razionali e responsabile delle relazioni istituzionali e della comunicazione di Assopetroli - Assoenergia.

Nonostante la giovane età ha già alle spalle un’esperienza importante come lobbista e comunicatore. Da dove nasce la passione per questo lavoro?
La ringrazio per il giovane e per l’esperto ma non sono né l’uno né l’altro. Nel nostro settore ci sono tanti giovani professionisti molto più bravi, e anche più giovani di me, che a 34 anni mi ritrovo ad avere la stessa età del premier francese. Faccio un lavoro che mi piace, lo faccio con impegno ed entusiasmo, ed è una fortuna. Se dovessi rispondere alla domanda “da dove nasce questa passione” non saprei da dove cominciare: le passioni sono la somma più o meno inconsapevole di esperienze, sentimenti e profezie che si autoavverano. Da piccolo girovagando per casa trovavo sparsi libri di psicologia e comunicazione, li comprava mio padre, non perché gli servissero ma perché ne era appassionato. Lui, medico di base in un piccolo paese della provincia del sud, li alternava con me alla lettura del Topolino. Mi ha insegnato che si può essere seri senza essere necessariamente seriosi, e che le cose inutili sono a volte importanti come quelle utili. Mia madre invece mi ha educato alla gentilezza e, bontà sua, alla morbidezza e alla resistenza. Poi, nella casa accanto, c’era lo studio legale di mio nonno, che leggeva una pagina al giorno del dizionario. Mi ha educato alla curiosità, all’importanza delle parole e alla passione per il diritto, mentre la nonna mi insegnava ad interpretare le regole, nella maggior parte dei casi a suo vantaggio. La domenica andavo dagli altri nonni, loro commercianti, e capivo che ogni volta che vendiamo qualcosa non vendiamo quasi mai il prodotto in sé, quanto l’idea che c’è attorno all’oggetto, l’emozione che ne anticipa l’acquisto e, soprattutto, noi stessi che lo stiamo vendendo. Insomma sono cresciuto in questo contesto ambientale, immerso nella tradizione partenopea, che in fatto di rapporti con il potere - spesso straniero - ha una lunga storia in quanto a cortigianeria istituzionale (intesa in senso ironico e positivo). Le attività di rappresentanza scolastica, quella universitaria, quella di partito mi hanno insegnato il pensiero strategico, la pazienza e il rispetto delle gerarchie. La politica l’ho vissuta nel privato, come servizio alla collettività e rappresentanza di interessi. Mi ha emozionato la sacralità delle istituzioni, la necessità di costruire sintesi tra posizioni diverse. Ho seguito il consiglio di De Crescenzo sforzandomi di allargare il più possibile la vita più che di allungarla. Ho fatto tanti lavori da ragazzino, non collegati tra loro e alcuni molto umili, ho seguito molti corsi, partecipato a molte associazioni, vari progetti erasmus all’estero. Ho lavorato in Consiglio Regionale, in Ufficio di Presidenza alla Camera, ho collaborato con gruppi al Senato e curato la comunicazione di Ministri e Presidenti di Regione, comprendendo le loro impalcature mentali, le insicurezze e gli interessi. Ho studiato giurisprudenza, mi sono laureato con una tesi in diritto dell’energia, mi sono perfezionato alla Luiss. Ogni cosa è stata utile alla causa. Poi, arrivato a Roma, ho conosciuto il mio maestro professionale e di vita (che spesso le cose coincidono), Claudio Velardi. Da lì ho cominciato un percorso di crescita, o di rinascita, ancora in corso, che mi sprona ogni giorno a costruire la versione migliore di me. E tra la passione per il diritto, quella per la politica, quella per la comunicazione, credo di aver trovato la chiusura del cerchio: il fatto che mi paghino per farlo, a essere sinceri, ancora mi meraviglia. Confesso che non saprei fare altro, sempre ammesso che lo sappia fare.

Il  settore in cui opera (quello energetico) è oggetto di una transizione importante. Cosa cambierà nei prossimi anni e cosa ci dobbiamo aspettare?
La transizione in atto è certamente epocale e non dobbiamo correre il rischio di osservarla a compartimenti stagni, perché è un tutt'uno con le altre transizioni che stiamo vivendo, in particolare quella digitale e dell’Intelligenza Artificiale. Sono direttore di una Fondazione che si chiama Ottimisti&Razionali, e ne sposo pienamente il senso: le innovazioni sono sempre positive, anche quando non lo sono. Non bisogna avere paura di coglierle, come troppo spesso è avvenuto nel nostro Paese. La sub-cultura NIMBY ha nei fatti rallentato la produttività della nostra economia, i livelli medi salariali sono rimasti a quelli del 1990 e intere fette di territorio si stanno desertificando a causa della migrazione e della scarsa infrastrutturazione - fisica e digitale - che diventa una barriera per l’accesso a diritti e servizi. Ad oggi siamo incapaci di essere attrattivi per gli investimenti, sia interni che esterni. Sta allora alla nostra generazione invertire la tendenza e costruire la ripartenza verso lo sviluppo sostenibile del Paese, approfittando di tutte le tecnologie disponibili, continuando ad investire in ricerca ed innovazione. Dobbiamo farlo sulla base della razionalità scientifica, senza pregiudizi di alcun tipo, con il mix energetico più ampio possibile e fonti di approvvigionamento diversificate, con lo scopo di garantire stabilità e sicurezza. Gli obiettivi sono essenzialmente due e sono perfettamente compatibili: la decarbonizzazione, per evitare gli effetti climalteranti dell’impatto umano, e il mantenimento positivo di livelli economici e occupazionali, per la tenuta sociale delle transizioni. C’è una naturale correlazione tra l’accesso conveniente all’energia e lo sviluppo di un territorio, e fa la differenza tra Paesi che diventano creatori di processi e altri che ne sono semplici fruitori o - peggio - osservatori, con le diverse opportunità che ne conseguono. Non c’è bisogno che lo ricordi ma molte delle vicende legate all’energia sono di natura geopolitica, e oggi più che mai il quadro impone particolare attenzione. I prossimi tre shock previsti per l’Europa, che sono le probabili elezioni di Trump, il debito accumulato per il Recovery Plan e la concorrenza del mercato cinese, impongono al legislatore europeo una cautela maggiore nella identificazione dei target, ma soprattutto un’azione più lineare, che veda l’interesse dell’uomo al centro. Per cui le transizioni, se vogliamo che siano realmente compiute, devono essere ragionevoli, in caso contrario saranno percepite come ostili dai cittadini. Le prossime elezioni europee, in ogni circostanza, saranno uno spartiacque.

I fatti di cronaca, anche di questi giorni, riportano sempre alla ribalta il ruolo del lobbista come di un faccendiere o come un lavoro poco trasparente. Come si può modificare tale narrazione e qual è il valore di tale attività nel processo democratico?
A mio parere la dovremmo smettere di dire cosa-non-è un lobbista, cominciando a raccontare in maniera aperta, gioiosa e trasparente cosa invece è un lobbista, cosa fa in sostanza, come si concretizza il suo (il nostro) lavoro. Siamo un ingranaggio fondamentale nel complesso meccanismo democratico: raccontando gli interessi delle parti aiutiamo la rappresentanza a compiersi, perché la decisione resta sempre in capo alla politica che, dal piano diverso della sua visuale, riceve la completezza di informazioni necessarie per tracciare la giusta sintesi. Quella che mette d’accordo quante più persone possibili. Credo che una regolamentazione del lobbying possa conferire carattere professionale ad un’attività di cui troppi, impropriamente, si dichiarano professionisti. Allo stesso tempo sono molto fiducioso verso le nuove generazioni, e sull’utilità del dibattito stimolato da associazioni come FERPI, perché l’identità seria di questo lavoro si afferma sempre più grazie al loro impegno. Volersi discolpare da accuse che non ci riguardano, perché per approssimazione qualcuno confonde le mele con le pere, non fa altro che polarizzare un dibattito tra bolle, di cui ai cittadini interessa poco. È vero però che siamo vittima di bias e disinformazione, sedimentati in anni di usi impropri del linguaggio, perciò lancio un appello a colleghi e a giornalisti: costruiamo un nuovo patto per la comunicazione responsabile, non solo verso i lobbisti, ma verso tutti. Sono convinto che farebbe davvero bene al Paese.

Quale il consiglio per un giovane che vuole intraprendere tale professione.
Posso dirle cinque regole che mi ha insegnato Velardi, la prima è: “Noi consulenti abbiamo sempre torto, anche quando abbiamo ragione”. La seconda è che quando si incontra un interlocutore istituzionale il suo primo pensiero è “chi sa che vuole questo da me”, che anticipa di una frazione di secondo il “chi sa come mi può essere utile questo”. La terza è che “quando sta andando tutto bene, allora vuol dire che già è cominciato ad andare tutto male”. La quarta è “se non rispondi nel giro di un minuto ad un cliente è come se lo stessi mandando a quel paese”. La quinta è “fatevi pagare sempre per i servizi che offrite”. Le altre non le posso dire.

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