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La trasparenza che ha regnato al Quirinale

17/04/2013

“Comunicare con efficacia non significa essere a tutti i costi oggetto di attenzione mediatica, ma costruire un significato riconosciuto e condiviso”. Lo sostiene _Mario Rodriguez,_ evidenziando come _Giorgio Napolitano,_ pur privo della guida di professionisti della comunicazione, non abbia mai perso autorevolezza.

di Mario Rodriguez
Si potrebbe sostenere che il settennato di Giorgio Napolitano sia un capolavoro di anti comunicazione. Ma in realtà, proprio questa esperienza così distinta da tutto quello che le succedeva intorno, conferma alcune idee forti proprio sulla comunicazione nel campo politico. Comunicare con efficacia non significa essere a tutti i costi oggetto di attenzione mediatica, accettare o subire l’avvento del politainment, il discorso politico che diventa spettacolo tv, ma costruire un significato riconosciuto e condiviso. E ciò si ottiene con un difficile equilibrio tra azioni e parole. Certo parole, parole pensate già nella forma scritta e non parlata, dette attraverso i mezzi tecnici, ora anche attraverso i social network, ma parole che incarnano atti, comportamenti, che costruiscono un clima di autenticità e affidabilità.
Giorgio Napolitano non ha avuto mai a fianco nessuna delle nuove figure della professione della comunicazione, né spin doctor né pollster, né strateghi dell’immagine. Ha utilizzato i sondaggi per presidiare il contesto, ma credo ne abbia, in un certo senso, evidenziato se non proprio l’inutilità, la loro natura non di guida ma di indicatore.
Ha invece avuto al proprio fianco uno staff professionale, dedicato fatto di professionisti che non hanno pensato mai, non solo di sostituirsi a lui, ma nemmeno sarebbero stati felici di farlo: il capo non sarebbe più stata la persona alla quale dedicarsi in rispettoso silenzio.
E così non ha mai giocato la carte dell’umanizzazione del proprio ruolo ricorrendo ad un uso spregiudicato della famiglia. Ha sempre avuto accanto a sé una donna dalla fortissima autonomia, come la signora Clio, che proprio per la sua personalità avrebbe potuto rafforzare anche quella del marito, ma non sono mai diventati preda del sistema dei media.
Ecco quindi che Giorgio Napolitano conferma che non è necessario soggiacere alla logica dei media, se si è e si ha una personalità forte, da leader appunto, non è necessario telefonare in diretta al giornalista che ti insulta nell’immancabile talkshow, concedere interviste appena possibile, giocarsi spregiudicatamente gli affetti come aggancio dei favori dell’opinione pubblica. Basta essere autentici, stare così bene con se stessi, e ci si può presentare per quello che si è, con dignità e senza arroganza. Anche con questo tratto di eleganza d’antan, fatta di piccole grandi attenzioni, ma sempre mirate a passare inosservati o a essere colte solo da pochi.
Il messaggio sei tu è il titolo di un libro di uno dei più famosi consulenti politici americani Roger Ailes e a questo principio si è conformata la cifra comunicativa del presidente che certo ha recitato la sua parte di uomo delle istituzioni, ma lo ha fatto con grande convinzione e passione. Anche con quella giusta quantità di autoironia che relativizzando rafforza. «Invece della Colomba, vi porto questo!». Amo ricordarlo alla vigilia di Pasqua con un foglietto in mano per poter dire solo quello che era stato pensato e limato e ammettendo di temere anche lui le parole dal sen fuggite.
Giorgio Napolitano è il Presidente della Repubblica che negli anni dell’affermarsi della politica pop, ci ha fatto sempre parlare di politica e non di comunicazione. Non credo che mai in questi sette anni la frase «sono stati errori di comunicazione» sia stata detta dal Quirinale o sul Quirinale. Se critiche ci sono state, sono state ai comportamenti, ai significati. I due livelli comunicazione e politica si sono fusi, non si sono distinti. Il senso di Napolitano è stato il suo modo d’essere, la sua ostinata ritualizzazione di alcune prassi come il discorso di fine anno orgogliosamente difeso nella sua prevedibilità.
Ecco, Napolitano ha confermato anche che comunicare significa costruire significati e lui a questo principio è rimasto fedele fino alle amarezze degli ultimi giorni in cui la sua riproposizione della indispensabile solidarietà tra le diverse forze politiche è caduta nel vuoto. Non ha dubitato, non ha barattato consenso con coerenza nemmeno nelle ultime tre settimane del mandato.
Il pubblico gli avrebbe più facilmente perdonato un cedimento partigiano che l’ostinazione con la quale ha riproposto la necessità del dialogo attraverso i facilitatori. Se non si apprezza questo di Napolitano, non si comprende a pieno il suo modo di vedere le cose e se stesso in mezzo ad esse.
Ma i leader si impongono, si creano i seguaci, non si adattano al loro presunto umore. E le persone contano davvero, cambiano le cose, fanno la storia. Ma una personalità come la sua non credo possa più emergere dai futuri processi di selezione dei gruppi dirigenti. Gli studiosi americani lo hanno definito il winnowing effect della media logic, cioè la capacità di setacciare e selezionare le leadership. Giorgio Napolitano è frutto di un tempo dove le cose che si vivevano, e i modi in cui si vivevano, permettevano l’emersione di personalità con tale forza e autonomia. Quel tempo non c’è più, non credo che possa tornare. E mi pare inefficace averne nostalgia. Il problema è attrezzarsi alle sfide del presente e alle loro conseguenze.
Fonte: Europa
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