Effetti collaterali di un lobbying sconsiderato. E' un altro possibile titolo per questo pezzo del Financial Times, "The curious paradox of American corporate lobbying", che impietosamente viviseziona le scelte politico-strategiche della grande industria automobilistica statunitense, Ford e General Motors in testa. Un settore in crisi per varie ragioni (debolezza di progettazione, marketing claudicante ecc) ma soprattutto a causa delle sue davvero poco lungimiranti attività di pressione. Per 15 anni i produttori di automobili americani hanno combattuto, in Congresso, qualsiasi tentativo di alzare gli standard di efficienza energetica, sfornando veicoli sportivi voraci di carburante. Oggi, con il costo del petrolio alle stelle, si vedono sempre più messi in disparte dai competitor nipponici. Un caso esemplare di come l'industria del lobbying sia capace anche di clamorosi autogol.Episodi meno eclatanti, ma comunque significativi, si sono registrati anche - per restare negli Usa - con la Edison Electric Insititute, l'associazione delle aziende elettriche, che ha respinto ogni tentativo legislativo di dare più spazio alle fonti di energia rinnovabili, e ora si ritrova in una situazione simile a quella delle auto; oppure con la Riaa, la lobby delle major discografiche, che alla fine degli anni '90 scelse la strada della demonizzazione della musica su internet, invece di cavalcarla come fece la Apple con iTunes. La bravura di un lobbista insomma, almeno in base a questo articolo di Michael Massing, va giudicata a lungo termine.Carola Frediani - TotemIl paradosso dell'industria automobilistica americana.