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Quando l’etica è funzione dell’utile

16/12/2010

“La credibilità è come il rispetto. Si può provare a esigerlo, ma meritarselo è molto meglio”, queste le parole di _Angelo Provasoli,_ Presidente della Giuria dell’Oscar di Bilancio, in un’intervista rilasciata a _Stefano Elli_ dopo la cerimonia di consegna del Premio, organizzato da Ferpi, che quest’anno ha visto la questione etica e sociale protagonista dei bilanci aziendali. Scarica il pdf dello speciale realizzato da _Il Sole 24 Ore._

di Stefano Elli
«Sostenibilità sociale». Che cos’è davvero? Uno slogan? Uno stendardo colorato dietro cui nascondere il grigiore impersonale dei numeri? Oppure un asset autentico su cui l’impresa può puntare per aggiungere valori alle valutazioni, stima alle stime? Insomma, ci credono veramente le aziende? Domande legittime anche se, in apparenza, pungenti cui non si sottrae Angelo Provasoli, già rettore dell’Università Bocconi e da sei anni alla guida del comitato per l’assegnazione degli Oscar di Bilancio. Oscar di Bilancio dedicati, quest’anno, proprio a questo: alla valutazione della componente etica, sociale e alla consapevolezza ambientale nella formazione del documento informativo principe dell’azienda.
«Oltre le mode e aldilà delle generiche affermazioni di principio – spiega Provasoli – il tema della sensibilità sociale in un mondo a elevata concentrazione industriale è diventato un tema di cultura. A cominciare dagli Stati Uniti, dove le aziende hanno da tempo sviluppato una sensibilità diffusa nei confronti di certi temi. Certo, una parte di questo interesse deriva dal tentativo di evitare interventi sanzionatori, ma oltre l’aspetto punitivo ciò che interessa evitare è la riprovazione sociale, conquistando un valore aggiunto preciso che è la credibilità».
L’impressione è che le aziende, almeno in una prima fase, si adeguassero alle parole d’ordine del “sociale” più per convenienza che per convinzione. Ora non sembra più essere così. «Il fattore C come credibilità dell’impresa – argomenta Provasoli – è uno dei suoi valori più importanti. Il suo stile, i suoi rapporti con l’ambiente circostante sono tutti tasselli che vanno a costruire la sua credibilità. E la credibilità è come il rispetto. Uno può anche provare a esigerlo, ma meritarselo è molto meglio».
Senza contare che, una volta ottenuta credibilità, è possibile utilizzare la comunicazione come leva di marketing per tornare a concentrarsi sul primo obiettivo di un’azienda, ossia l’ultima riga del bilancio. Ma come si sono evoluti i documenti contabili delle aziende nel corso degli ultimi dieci anni? «In realtà l’evoluzione è cominciata molto più indietro nel tempo, a partire dagli anni 70. E in particolare con il 1974, anno in cui è entrata in vigore la nuova normativa. Sarebbe interessante, a questo proposito, andare a rileggersi qualche vecchio bilancio. Si scoprirebbe, per fare solo alcuni esempi, che i volumi d’affari, i fatturati, non erano esposti si trattava di elementi considerati pericolosi in termini di competizione. E così pure l’incidenza dei costi in azienda – spiega ancora Provasoli -. Le cose hanno cominciato a cambiare in modo radicale nel momento in cui l’impresa si è emancipata dal sistema bancario che non è più rimasto l’unica fonte di approvvigionamento di capitali. Nel momento in cui l’azienda per competere ha avuto bisogno di espandersi e si è rivolta al mercato con emissioni obbligazionarie, con collocamenti in Borsa, è sorta l’esigenza di comunicare meglio l’azienda stessa alla comunità degli analisti, ai consulenti che avrebbero dovuto accompagnarla nei vari “riti di passaggio” della crescita». Non tutto è sempre andato benissimo: vedi Giacomelli, Cirio, Parmalat. Ma questa è un’altra storia.
Tratto da Il Sole 24 Ore
Scarica qui tutto lo “Speciale Oscar di Bilancio”, dedicato da Il Sole 24 Ore all’edizione 2010.
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