Ferpi > News > Rp Lab: McTwitter, un flop o un’esperienza utile?

Rp Lab: McTwitter, un flop o un’esperienza utile?

25/01/2012

L’hashtag #McDStories è durato solo due ore. Poi Mc Donald’s lo ha eliminato. La campagna su Twitter voleva essere uno spunto per creare una conversazione attorno all’azienda ma si è rivelata un boomerang. Ma davvero è stato un flop o forse un modo per avere dei feedback dai propri clienti da cui trarre utili lezioni? La riflessione di _Gabriele Cazzulini._

di Gabriele Cazzulini
Epic fail oppure grande lezione? Anche McDonald’s ha sperimentato una social media crisis. E subito il mondo, specialmente quello che non digerisce gli hamburger, ha bollato questo episodio come un grande flop. Ma è davvero così?
Ormai, è un dato di fatto: i social media sono molto di più di un’arena in cui i grandi marchi duellano per conquistare clienti. In realtà oggi per gestire i clienti bisogna coinvolgerli in azioni, interazioni e narrazioni al di là del marketing. Il prodotto deve diventare lo spunto per conversare su tutto il mondo intorno a quel prodotto. Bene. Lo ha fatto, anche, McDonald’s. Non era la prima volta. Però è andata male. Non è detto che basta avere un account Twitter e il mondo ti saluta con allegria. Appunto. Su Twitter, qualche giorno fa, un innocente hashtag, #McDStories, per invitare i clienti a raccontare le loro storie su McDonald’s si è subito trasformato in un boomerang micidiale, che ha colpito e centrato la multinazionale del panino.
Volevano le storie dei clienti? Le hanno avute. Però erano le peggiori, le più cattive, le più negative per l’immagine pubblica di McDonald’s. Non c’è bisogno di citazioni, nè di fantasia, per intuire il senso di quelle storie. Dopo circa due ore, l’hastagh è stato ritirato da quelli sponsorizzati su Twitter. Ma era troppo tardi. L’hashtag, aprendo qui una parentesi di cultura social molto spicciola, è qualcosa che vive di suo. E’ incontrollabile, perchè vive anche grazie ad un solo utente. Figurarsi le migliaia di utenti che si sfogavano contro McDonald’s. Però è fondamentale, perchè è il centro di gravità delle conversazioni su Twitter. Per scoprire e seguire gli hashtag più importanti, in tempo reale e in tutto il mondo, c’è Twirus.com. Chiusa parentesi.
Quindi, gestire campagne commerciali sui social media camuffandole da libero dialogo pubblico, è una strategia molto rischiosa. Più in generale, questo caso dimostra che per la prima volta nella storia, sui social media, le aziende, qualunque siano, non hanno più in mano il controllo delle loro campagne pubblicitarie. Perciò devono sviluppare storie coinvolgenti, partecipative, ma anche al riparo da possibili “contestazioni”. Qui non c’è il “panic button” da premere in caso di emergenza per bloccare tutto. Perchè questa è tecnologia umana, sociale, quindi imprevedibile e incontrollabile. Impossibile anche pensare a moderatori o filtri automatici. Bisogna solo accettare la sfida della socialità e prepararsi argomenti convincenti per replicare – solo quando serve veramente. Il troll, cioè lo stalker online, è sempre in agguato e, come dice la saggezza popolare del web, “never feed the troll”, mai dialogare col troll.
Ma è stato davvero un flop? Non proprio. Oggi è un valore trovare un’azienda che, sebbene controvoglia, consenta ai suoi clienti e al mondo intero di sparare ogni tipo di calunnia contro di essa. Forse in questa ondata di fango, c’è anche qualche feedback utile da prendere in considerazione. La gente si sfoga sul web, ma poi va a sbafare da McDonald’s. Infatti proprio in questi giorni l’azienda ha comunicato di aver raggiunto ottimi risultati nell’ultimo trimestre 2011.
Lascio come conclusione l’ennesima nota dolente sui grandi media italiani: l’unica notizia recente (scrivo mercoledì 25 gennaio 2012) è quella di un fake su un aumento del prezzo degli hamburger per gli afroamericani, come reazione ad un aumento di furti. Ovviamente è una bufala. Ma, forse, valeva la pena di scrivere sul caso, ben più significativo, di Twitter. Magari arriverà qualcosa nei prossimi giorni, in puntuale ritardo perchè senza non c’è da agitare lo spauracchio del razzismo.
E’ un vizio di tanti media italiani, cibarsi di bufale. Preferisco un gustoso BigMac, con cipolla, senape e sfogo isterico su Twitter.

Gli articoli precedenti:
Primarie USA: quando la tv è un’arma letale
Media, web e mobile: come cambiano le Relazioni pubbliche
Gamification, quando il marketing è un gioco
Eventi