Rp: migliora la reputazione. Non abbandoniamo la presa!
01/09/2009
Si discute molto in questo periodo dello stato della reputazione della professione delle Rp, in Italia, ma anche in molti altri Paesi, e del paradosso che mai come oggi, che svolgiamo compiti sempre più difficili e importanti, sia così vivace e diretta la critica sociale nei nostri confronti. Toni Muzi Falconi fa il punto della situazione, delineando alcune ‘certezze’ raggiunte da un ragguardevole corpo di conoscenze e in continua crescita.
di Toni Muzi Falconi
Credo utile, in queste righe, provare a ‘fare un punto’ della discussione, e delineare alcune ‘certezze’ raggiunte da un ragguardevole corpo di conoscenze e in continua crescita. Un compito non agevole, ma sono certo che altri vorranno contribuire ad arricchire e criticare queste brevi note.
Per prima per chi, come me, si avvicina al traguardo di 50 anni di professione, vorrei partire da un ricordo personale.
Incerto sul da farsi, decisi appena ragazzo (era il 1961) di accettare – dopo una brevissima ma intensa esperienza di sei mesi da facitore di didascalie di cinema al settimanale Rotosei ove avevo come direttore Ettore della Giovanna, come capo redattore Manlio Maradei e come capo degli spettacoli Ugo Moretti.. – la redazione del giornale aziendale della Stanic Industria Petrolifera (50% Eni e 50% Esso) e, in parallelo, frequentare il primo vero Master in relazioni pubbliche italiano mai attuato in Italia dalla Università Pro Deo (oggi Luiss), con docenti Piero Arnaldi, Vittorio Crainz, Vitaliano Rovigatti e Carlo Maiello, completato nel 1962 con una tesi su ‘la stampa aziendale e le relazioni sindacali’.
Una decisione che ne scartava altre due: quella di fare, come mio padre, il diplomatico (avevo però già un fratello maggiore da poco entrato in carriera, e mi sembrava giusto così), oppure quello di entrare in Alitalia (il rifugio di quei figli bene che non erano riusciti a passare il concorso della Farnesina).
In verità avevo anche una terza opzione aperta, grazie ad una ‘bolla’ vaticana che attribuiva al terzo maschio della mia famiglia l’opzione della carriera ecclesiastica partendo subito dal ruolo di Monsignore… ma non sono mai stato credente.
Nel 1963, trasferito a Milano alla 3M Italia come responsabile dei rapporti con i media, e poi responsabile delle relazioni pubbliche, uno dei miei due amministratori delegati (il francese Jean Imbert della Ferrania, l’altro era invece Piero Stucchi Prinetti, mio mentore per almeno due decenni successivi), vedendomi entrare nel suo vasto ufficio, mi guardò sconsolato e disse:
‘caro Muzi Falconi, quando vedo lei mi viene in mente di affogare in una piscina, e lei che dal bordo mi dice che il colore del mio costume non è in tono con l’ambiente..’.
Ecco, assai più degli epiteti, le accuse, gli scherni, le ironie, gli scrollamenti di spalle e gli insulti che la mia professione mi ha procurato in quasi 50 anni – insieme ovviamente ad una massiccia dose da cavallo di soddisfazioni, di sfide e di passioni – quella frase di Monsieur Imbert mi è rimasta sempre impressa, ancora oggi.
Rievoco questo piccolo episodio per i più giovani, per coloro che si impegnano nella professione e però sono turbati dal quel che si dice e si pensa, e soprattutto per quei ragazzi che studiano all’università e vogliono intraprendere il nostro lavoro.
E’ in uscita nelle prossime settimane sul Journal of Public Relations Research un piccolo ma prezioso saggio di Carol Aimes, docente all’Università della California (Fullerton) dal titolo Pr Goes to the movies 1996-2008, in cui l’autrice analizza, basando la sua ricerca anche su un precedente lavoro enciclopedico di Karen Miller dal titolo PR in Film and Fiction 1930-1995 uscito sulla stessa rivista, che analizzava le dinamiche della nostra reputazione nella cultura popolare americana, la figura del relatore pubblico come esce dai film dell’ultimo decennio.
La cultura popolare è ancora oggi, per certi aspetti ancora di più di ieri, il terreno dove si forma e si consolida la maggior parte degli stereotipi sociali.
Nei giorni scorsi la bravissima collega neo-zelandese Catherine Arrow ha scritto un ‘post’ suggestivo su www.prconversations.com dove, con grande rammarico, informa della prossima uscita in Inghilterra di un reality show televisivo interamente dedicato alle relazioni pubbliche, e si chiede quali ulteriori scempi alla nostra reputazione potranno derivarne.
Ebbene, l’analisi di Carol Aimes ci dice invece che negli ultimi 10/15 anni la situazione, almeno dalla prospettiva dei film americani, è fortemente migliorata.
Nel 1993 Cristopher Spicer definiva i sette stereotipi delle relazioni pubbliche, risultati da una attenta analisi della stampa americana:
- distrazione (il tentativo di distrarre il giornalista da un tema delicato);
- disastro (un disastro di relazioni pubbliche);
- sfida (una vera e propria difficoltà e solo distrazione o disastro);
- retorica (un eccitamento o una esagerazione artificiale);
- pierre (la costruzione di una verità diversa dalla sostanza);
- guerra (per vincere una opinione pubblica positiva);
- fuffa (strette di mano, parlantina facile, fare charmant).
Karen Miller invece, nel saggio già citato, ha ben caratterizzato i tratti tipici del relatore pubblico come emerge dall’analisi della cultura popolare americana fino al 1995:
- leggero (privo di sostanza, ma amabile);
- ossequioso (fa tutto quel che può soddisfare il cliente);
- cinico (sarcastico, rognosa, presuntuoso and determinato);
- manipolativo (bugiardo e baro sia per sé che per i suoi clienti);
- ossessionato dal denaro (pensa al suo lavoro solo per il guadagno che ne ricava);
- isolato (estraneo, poco adatto a lavorare con gli altri, socialmente nervoso);
- arrivato (sicuro di sé, capace, responsabile, affidabile);
- insoddisfatto (bravo ma inappagato del suo lavoro).
Sulla scia di una analisi di una ventina di film dell’ultimo quindicennio, Carol Ames non soltanto conclude che la figura del relatore pubblico è oggi assai più positiva del periodo esaminato dalla Miller, ma che anche la sua funzione professionale viene descritta con molta maggiore attenzione e varietà.
Vi stupisce questo risultato?
A me non molto, francamente.
E’ verosimile, infatti, che stando noi ogni giorno in trincea, si faccia fatica a mantenere una prospettiva ampia e relativamente ‘oggettiva’ della questione.
Proprio a Milano e non molti mesi fa, il Congresso Euprera ha confermato la grande accelerazione impressa in questi ultimi anno al processo di istituzionalizzazione della funzione delle relazioni pubbliche nelle organizzazioni.
E poi, sia il primo Festival Mondiale di Roma del 2003 dedicato al recepimento del Procollo Etico della Global Alliance; sia (e di più) il secondo Festival Mondiale di Trieste del 2005, dedicato alla comunicazione con, per e nella diversità (il primo nel suo genere al mondo)… insieme ai tanti confusi e non sempre pensati sforzi quotidiani di associazioni come Ferpi, fondazioni come l’Institute for Public Relations, qualche risultato dovranno pur produrlo, no?
Questo di certo non può essere per noi motivo di consolazione. Al contrario.
Proprio perché siamo ben consapevoli dell’impatto reale che produciamo con il nostro lavoro, dobbiamo accelerare per consolidare, mettere al riparo e far crescere questi segnali positivi. E le due questioni centrali di oggi sono di assicurare una attuazione responsabile di tutti i programmi dei nostri clienti/datori di lavoro attraverso una attività di comunicazione consapevole delle conseguenze anche indesiderate che produce, insieme ad una intelligente e articolata griglia interpretativa e di ascolto delle aspettative degli stakeholder.
In questa direzione si muovono tra l’altro i nostri colleghi svedesi che, insieme alla Global Alliance, stanno alacremente lavorando sui contenuti del prossimo Forum Mondiale di Stoccolma del Giugno 2010.
Saranno due giorni dedicati a divulgare e discutere i risultati di cinque anni di ricerca sulla organizzazione comunicativa, intrecciati con temi quali la fiducia e la governance per concludere con la presentazione di un programma triennale dedicato al miglioramento della reputazione della nostra professione, cui tutti i colleghi, professionisti, docenti e studenti del mondo sono invitati ad apportare il loro contributo attivo.
Sempre che ci tengano, naturalmente, alla reputazione di quel che fanno.